DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

giovedì 29 novembre 2012

Ah, la vita...


29 novembre 2012

Tutto congiura contro di noi. L’età, la sciatica, l’umidità nelle ossa, l’esistenza di Montezemolo, le tasse, le nozze gay, Battiato che governa, il Matto nostro con l’elisir di lunga vita, l’autostima della Meloni, le riflessioni di Beppe Severgnini, la faccia di Lorenzo Cesa, la tiritera Saviano, l’Onu, le primavere arabe, i Fratelli musulmani nel ruolo di mediatori, i cagnetti della Brambilla, Fassina il bocconiano, Gian Antonio Stella (Rizzo no, che poi lo incontro al mare), Renato Schifani che se la tira da uomo di Stato, la procura di Taranto, il gip di Taranto, le trombe d’aria su Taranto, Giancarlo De Cataldo, che sfiga ha voluto nascesse a Taranto, tutto, tutto congiura contro di noi e ci riduce a stracci. Ma pensate com’è ridotto Di Pietro.

martedì 27 novembre 2012

Ingroia dixit

27-11-2012
Ballarò, ore 21,30:

Ingroia dice che non si candiderà, che non ha bisogno di seggi.

Predicatori ricchi


Lettera 6
Caro Dago,
Giovedì scorso, Santoro per difendersi dal dito accusatore ( Brunetta) ha attaccato la luna ( Vespa). Come a dire che il suo altissimo reddito è moralmente giustificato, giacché ne fruisce anche il Brunetto. Il problema vero è un altro : Vespa e altri ( in verità non molti, i Vip stanno tutti a sinistra, per salvarsi la coscienza, per quieto vivere e perché conviene, soprattutto in ambito giudiziario, o di carriera) guadagnano molto bene, ma non si ergono a paladini dei precari, dei disoccupati, dei cassintegrati, dei licenziati e dei poveracci in generale, laddove i vari Santoro, Benigni, Camilleri, Lerner, Fabio Fazio e Saviano, Celentano e anche lo stesso Grillo, invece, cianciano sempre di sperequazione, di pochi troppo ricchi e molti troppo poveri.
Ergo, i loro enormi emolumenti sono uno sberleffo, un insulto, una presa in giro, se non accompagnati da atti di solidarietà umana che, salvo per il cachet sanremese del Molleggiato, nessuno ha mai visto. Persino il Cavaliere è assai più generoso di costoro ( e non solo con le Olgettine). Concludendo, Vespa & Vip centrodestri dei poveri se ne fottono, mentre i Santoro e i Vip de sinistra ( nei fatti ) se ne fottono e ( a parole) li sfottono.
Salve
Natalino Russo Seminara

venerdì 9 novembre 2012

Ci si accorge che Di Pietro è un....



Cari amici di Report, siete diventati matti per dimostrare che l'appartamento di Di Pietro a Roma, in via Merulana, è sempre stata la sua abitazione non la sede del suo partito. Siete andati a scovare un oscuro memoriale giudiziario per dimostrarlo: ma bastava molto meno. Per esempio questa lettera di Di Pietro pubblicata da Libero il 9 gennaio 2009: «A Roma sono proprietario dell’appartamento di via Merulana ove abito quando mi reco lì. L’ho comprato nel 2001». Nota: nel memoriale aveva scritto «nel 2000», in realtà l’acquisto è del 2002, come da visura catastale che pure pubblicammo l'11 settembre 2009. Altro esempio: potevate sbirciare, amici di Report, l'intervista a Monia Lustri (ex Idv) che Libero pubblicò il 17 giugno 2011: «Con Di Pietro», si leggeva, «andavo a cena prima di passare a casa sua, in via Merulana». Nota: l'intervista è stata querelata, ma siamo stati prosciolti meno di un mese fa. Infine: anche la famosa fattura - quella che dimostra che Di Pietro si ristrutturò l'appartamento a spese del partito - fu pubblicata da Libero l'11 settembre 2009, si parla di quella relativa a «Lavori per vostro ordine e conto svolti nella sede sociale di via Merulana a Roma, imbiancatura e stuccatura pareti, riparazione idraulica». La fattura è intestata a «Italia dei Valori, via Milano 14, Busto Arsizio, Varese». Insomma, potevate risparmiarvi un sacco di lavoro. Non fate i timidi, la prossima volta.
Filippo Facci.

mercoledì 7 novembre 2012

Toccherà votare Renzi?

Lettera 5
Secondo il Magone Dalemix non è neanche il caso di pensare a una vittoria di Renzi. Appena l'ho letto mi sono subito registrato per le primarie del PD per votare Renzi.
Vittorio Vecchioscarpone InFeltrito

martedì 6 novembre 2012

Una svolta, una svolta, per carità!

Fin che viveva, pur in salute molto malferma, il governo Berlusconi andava sostenuto. E in molti lo facevamo; non solo montanellianamente turandoci il naso ma anche cercando di distogliere lo sguardo dai casini politici di un centrodestra arruffato e arruffone che esisteva solo perchè esisteva Berlusconi e che resisteva solo perchè resistevano ancora le doti ipnotiche del mago Silvio. Riuscivamo anche a sorvolare sul casino, in senso letterale, che lo stesso Berlusconi aveva messo sù; a minimizzare sulle ruby-mubarak, le minetti, le olgettine mantenute a 2500 euro al mese "per aiutarle", su uno stile di vita che il sultano che si nasconde in ogni uomo fa desiderare ad ogni uomo e che Silvio Berlusconi era riuscito a realizzare. Dimenticandosi, però, che siamo in Italia, non in qualche emirato arabo; nel presente di crisi che si susseguono inesorabili, non nel passato delle favole alla Aladino o alla Mille e una notte. In Italia, dove chi stenta, fatica e dissente può non solo mugugnare ma anche parlare, urlare e  far amplificare la propria voce da una rete internazionale di megafoni e altoparlanti mediatici. 
In Italia e in un presente dove uno, per quanto sultano, viene assediato da ogni parte fino a perdere moglie, credibilità e potere. Ed è già tanto che gli resti l'harem...
In Italia, dove, alla fine, un poverocristo può non poterne più, accettare un Monti pur piovuto dall'alto ma che lo fa godere di un'aria più respirabile, di un clima di serietà politica da tempo dimenticata. 
Ma è un governo tecnico; dovrà essere sostituito; si dovrà votare.
Ma PER CHI ?
Il centrodestra rantola, o meglio, dài: è morto. E gli sta bene, così impara...
I Fini-Casini-Tonini-Montezemoli & C. ? Ma ti prego...
Il centrosinistra in ammucchiata di Bersani, D'Alema, Rosibindi, Vendola, Franceschini & Compagni ancora rossi ma non di vergogna? Così com'è, certamente no; sai quanto durerebbe un governo di quel genere?

E provare con Renzi? 
Vedere se con lui si riesce a fare di quell'ammucchiata un qualcosa di fresco, di giovane, di non paludato, di meno "pepponiano" (dato che DC Don Camillo non c'è più)?
Qualcosa che assomigli ai partiti socialdemocratici di tipo nordeuropeo?
Provare?
Ci sono 'ste benedette primarie del PD; iscriversi? Andare a votare Renzi?
Dài, andiamo. Proviamo.

De Benedett...o dal Signore


Lettera 12

Mi piacerebbe che gli Italiani rispondessero alla seguente domanda: potendo scegliere, come datore di lavoro vorreste avere Berlusconi o De Benedetti? Ora, come risponderebbero i dipendenti del Cavaliere non lo so, ma di sicuro il 100% dei dipendenti dell'Ingegnere, soprattutto quelli dei quotidiani locali del gruppo, al Carletto solidale e democratico, preferibbero Silviuccio egoista e capitalista.
Salve
Natalino Russo Seminara
----------------------------------------------------


DI FRANCO BECHIS

Tutte le vergogne della sua Olivetti: "Libero" le ricorda a De Benedetti

L'editore di "Repubblica" si dice orgoglioso di quell'azienda, ma dimentica mazzette e salvagenti di Stato. Oltre al suo passato socialista...

03/11/2012
'Libero' ricorda a De Benedetti le vergogne della sua Olivetti
Carlo De Benedetti
Qual è il tuo stato d'animo?
13
15

di Franco Bechis
Il passo d’addio è accompagnato sempre da una certa retorica, e figurarsi se non doveva accadere  anche per Carlo De Benedetti e il suo annuncio di mezzo ritiro dalla scena. Lui a dire il vero aveva già annunciato nel 2009 una pensione dorata, abbandonando tutte le cariche del gruppo salvo la presidenza dell’Espresso. Nella sostanza non cambia nulla rispetto ad allora, salvo l’utilizzo della legge sulla successione per trasferire ai figli le sue quote nella holding di famiglia, la Carlo De Benedetti & c. Un asse ereditario risolto in anticipo per non fare litigare la prole sul testamento, che gli assicura ancora il generoso stipendio da amministratore unico di Romed (2,5 milioni di euro l’anno) e la guida del gruppo editoriale che ha dentro Repubblica, i quotidiani locali di Finegil, le attività radiofoniche e televisive e il settimanale Espresso. Tanto è bastato per dedicare ieri sul quotidiano degli industriali italiani un’ampia intervista all’Ingegnere che annuncia «Ora farò l’editore puro».
EDITORE PURO
A parte l’atipicità di un editore puro che continua ad essere il capo di una famiglia con interessi nell’energia, nella finanza, nella ristorazione, nella componentistica auto, nella sanità e decine di altri settori, l’intervista al Sole 24 Ore ieri è stata l’occasione per ripercorrere fra effluvi di incenso la sua carriera di imprenditore. Come tanti altri grandi imprenditori (un difetto in comune col nemico di una vita, Silvio Berlusconi) De Benedetti gode di altissima autostima. E ha qualche difficoltà ad individuare errori compiuti in vita. Gli scappa un’ammissione sulla celebre scalata alla cassaforte del Belgio, la Sgb (che fallì ed è un fatto incontrovertibile), ma subito si corregge: «Il mio fu un errore di esecuzione, non di intuizione». Vale a dire: l’idea della scalata era stata sua, formidabile. La scalata in sé fu tentata dai suoi uomini, e furono loro a fallire: «Purtroppo nella sua finalizzazione l’operazione fu gestita male. E ne abbiamo subito le conseguenze». A una certa età la memoria ha maglie più larghe, vale per tutti. Così l’ingegnere non si ricorda più da quali labbra sfuggì l’arrogante annuncio ai belgi: «La ricreazione è finita», che fece irritare tutti e naufragare l’intera operazione. Erano proprio le sue labbra.
Ma i vuoti di memoria più terribili debbono avere accompagnato la non felicissima storia di De Benedetti nell’Olivetti. Non felicissima, perché grazie a quell’azienda fu indagato a Milano dal pool mani pulite, poi inseguito proprio diciannove anni fa durante il ponte dei Santi da un mandato di cattura. Infine pure arrestato (il processo fu lentissimo, e insieme ad altri fu infine prosciolto nel 2003 anche perché i fatti erano ormai prescritti). Al Sole 24 ore De Benedetti ha raccontato quel che si ricorda dell’Olivetti. Bei ricordi, come capita il giorno della pensione: «Una storia che rivendico con orgoglio. L’ho salvata da una morte che ha interessato tutti i nostri competitor di allora (…) Con Olivetti ho trasformato una fabbrica di macchine da scrivere in uno dei maggiori produttori di computer mondiali e poi in un grande operatore di telefonia mobile che rompeva un monopolio…». Poi se è finita male (ed è finita malissimo, con il marchio che ogni tanto risorge provoca altre disavventure e come la Fenice risorge ancora passando di mano in mano), naturalmente la responsabilità è altrui.
Basterebbe un po’ di memoria però per raccontare la storia giusta, forse poco adatta al passo d’addio, ma almeno vera. Quello di Olivetti in mano all’Ingegnere non fu straordinario successo imprenditoriale. Fu in realtà un calvario non diverso da quello affrontato dai competitori internazionali e anche dalle grandi imprese italiane in anni di crisi industriale come fu la prima metà degli anni Ottanta. Basta consultare gli archivi digitali per scoprire che il termine più volte associato ad Olivetti dal 1980 al 1994 fu «cassa integrazione», non certo un simbolo di grande successo. Non fu l’imprenditore, fu la politica a tenere in piedi quell’azienda. Sempre e comunque. Perché rappresentava un problema sociale, e perché De Benedetti chiedeva e pagava - come si faceva all’epoca - la politica per reggere la baracca. Lo ammise lui stesso - presentandosi naturalmente come vittima - davanti al pool Mani pulite che ormai lo aveva pizzicato quindici giorni dopo avere negato tutto di fronte all’assemblea degli azionisti Olivetti.
NEGAZIONE CONTINUA
«Non lavorare», scrisse in un suo memoriale, «in particolari specifici settori della pubblica amministrazione italiana diveniva per noi inaccettabile (…). Questa prima fase era caratterizzata da pressioni dei mandatari del Psi e della Dc alle quali rispondevamo respingendo richieste specifiche del “caso per caso”, ma cercando di limitarci a donazioni generiche ai segretari amministrativi non riferite specificatamente a singoli lavori». Poi «subentrò una seconda fase in cui avvenne una sistematica, totale, ineludibile contrattazione da parte dei mandatari dei partiti su tutto quello che potevano controllare senza alcuna eccezione. Così il nostro atteggiamento subì un cambiamento e cioè invertimmo la nostra posizione, respingendo ormai disgustati qualsiasi finanziamento ai partiti, ma subendo di volta in volta i ricatti di loro mandatari su singoli specifici espisodi». Insomma, finì con il pagamento di circa 10 miliardi di lire di tangenti. Concusso per tenere in piedi l’Olivetti.
Negli anni Ottanta l’azienda fu salvata dalla legge che impose i registratori di cassa a tutti i commercianti. Portava la firma di Bruno Visentini, già nel board Olivetti. E il mercato fu diviso da due aziende: l’Olivetti, e la Sweda. Che fu comprata subito dalla stessa Olivetti.
Nel memoriale De Benedetti sostenne di essere ricattato dalla politica che gli chiudeva la commessa delle Poste, aprendo il mercato ad aziende straniere. Pagò e rifornì l’azienda di vecchie telescriventi mai usate. Se ne trova ancora qualcuna nei magazzini di palazzo Chigi, dove costa una fortuna rottamarle. Sempre sotto ricatto dei politici, naturalmente. Anche se nell’archivio di Bettino Craxi e in quello di Giovanni Goria si trovano documenti che racconterebbero un’altra storia. A meno che il ricatto non comportasse cimeli garibaldini generosamente donati dall’Ingegnere a Bettino, o la partecipazione a comizi Psi sulla piazza di Brescia con tanto di garofano all’occhiello (foto dell’archivio Craxi).
Finite le commesse inutili, tornarono i cassa integrati. L’Olivetti provò a rifilarne 1500 alla pubblica amministrazione, con una norma varata dall’ultimo governo di Giulio Andreotti. Non passò in parlamento. Ma 414 cassaintegrati Olivetti furono scaricati lo stesso sulle spalle dello Stato. A quel punto l’ingegnere cercò di sfilare Finsiel all’Iri: un contratto per pagare la minoranza e comandare come fosse in maggioranza. Si oppose il socialista Massimo Pini, e l’operazione non riuscì.
LA PROPOSTA
Allora l’ingegnere bussò alla porta di Giovanni Goria (nella primavera del 1993), chiedendo una mano per la sua Olivetti pubblica amministrazione. Ci sono lunghi carteggi a testimoniarlo. Olivetti voleva una commessa per realizzare la carta elettronica della Sanità nella Regione Lazio, per poi estenderla in tutta Italia. E aveva proposto perfino una carta elettronica sostitutiva del certificato elettorale per fare votare tutti gli italiani. Goria caldeggiò (e anche qualcosa più) l’Olivetti presso l’amica Maria Pia Garavaglia, ministro della Sanità nel governo di Carlo Azeglio Ciampi. Il colpaccio però non andò in porto. E l’Olivetti sarebbe stata ancora mesi in agonia, fino alla spugna gettata dall’Ingegnere pochi anni dopo. Un’altra storia.