DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

mercoledì 15 dicembre 2010

lunedì 13 dicembre 2010

domenica 12 dicembre 2010

DISTIMIA. La Malinconia di Michelangelo

"La mia gioia è la malinconia".

venerdì 10 dicembre 2010

Le Avventure di Finocchio

Un giorno Mastro Nanetto (non che gli altri fossero dei giganti, ma ormai tutti lo chiamavano così) decise di mettere ordine nel Paese delle Fiabe, e di lottare contro dei Mangiabambini che volevano rovinare quel Bel Paese e chiamarlo Gulag. Bravo com'era, si costruì un aiutante e lo chiamò Finocchio. "Sù, stai con me; avrai una nuova vita, nessuno ti prenderà in giro, nemmeno più i Mangiabambini". Finocchio si godette la sua nuova vita per tanti anni, convinse tanti amici, fecero tutti una bella combriccola e la chiamarono Forza Paese delle Fiabe. Finocchio riuscì anche a liberare dal castello dell'orco Ucci-Ucci una bella Fatina dai Capelli Biondi; insieme misero sù casa e insieme combinarono tante belle cosette, cavalcando un cavallo di nome Rai, visitando un Principato vicino, eccetera. Ma il capo della combriccola era sempre Mastro Nanetto e la cosa, un po' alla volta, cominciò a dar fastidio a Finocchio. Prese a disturbare il suo creatore, a fargli sempre più spesso sgambetti, ad aizzargli contro il suo bastardino Pompino, perfino a tirargli qualche Granata. Ma Mastro Nanetto (al quale un mago aveva predetto cent'anni di vita se solo avesse succhiato la linfa di certe ragazze chiamate Escort) sembrava essere sempre il più forte. A Finocchio rodeva sempre di più e, pur stando sempre seduto in Camera sulla comodissima poltrona che Mastro Geppetto gli aveva regalato, smise di combattere contro i Mangiabambini e, anzi,  cercò di farli diventare suoi amici, raccontando loro certe cose che nessuno prima si sarebbe mai sognato di poter sentire da lui. Questi Mangiabambini avevano tanti capi ma nessuno vero, e volevano anche liberarsi di uno strano tipo, MangiaPietro, che dava loro tanto fastidio; ebbene, nonostante la loro sempre proclamata superiorità intellettuale, accettarono le lusinghe di Finocchio e Pompino e tutti insieme appassionatamente si misero contro Mastro Nanetto, per cacciarlo via. Il popolo del Paese delle Fiabe non sapeva più cosa pensare di tutta questa baraonda. Il Paese era pieno di Grillini parlanti, di Gatti e di Volpi che andavano e venivano da tutte le parti e da tutti i partiti. In quel casino totale, per risolvere i problemi talvolta i Mangiabambini andavano a piangere da un certo Mago Napoletano loro vecchio amico, mentre Mastro Nanetto preferiva il suo Mago Ghedino. E la gente non capiva più niente, anche perchè alla sera ascoltava strani tipi di imbonitori-santoni incazzati dai nomi più strani, tipo Sant'Oro, Ballarò, Dandina, Traraglio, Fazioso e tanti altri; di notte, di nascosto, ascoltavano anche uno più mite degli altri: Ape Maia, che era più rassicurante. Il popolo, intanto, continuava a lavorare e a mandare avanti alla meno peggio il Paese; e a diffidare di tutti quegli strani personaggi. Anzi, con una voglia sempre più forte di mandarli tutti quanti in un paese lontano chiamato Fanculo. Si arrivò, così, a un giorno in cui la gente sentì addirittura Finocchio che, insieme ai suoi ex-nemici Mangiabambini, disse: "Mastro Nanetto, ti cacciamo via per 72 ore, ma poi ti riprendiamo; devi fidarti di me." Era l' 8 di Dicembre, e a sentir ciò anche a Maria Immacolata vennero le lacrime agli occhi. E tutto il popolo del Paese delle Fiabe pianse con lei.

(continua, purtroppo.)

Vittorio Collodoalfano InFeltrito

martedì 7 dicembre 2010

domenica 5 dicembre 2010

Occhi di Etiopia

http://www.flickr.com/photos/27964309@N06/sets/72157625377571845/

Romolo & Remolo & Curziolo

mercoledì 17 novembre 2010

domenica 7 novembre 2010

martedì 19 ottobre 2010

DISTIMIA. Epitaffio udinese

Crebbe a Udine
rifiutò l'abitudine
condannandosi all'inquietudine.
Morì in solitudine.

Gàbànèllì


DISTIMIA. Però, mi voglio bene.

Non mi voglio poi così male
quando penso
che non vorrei esserci al mio funerale.

lunedì 18 ottobre 2010

lunedì 4 ottobre 2010

giovedì 23 settembre 2010

Famiglie a l l a r g a t e

StraFatto Quotidiano

Stille Nacht 1

Ah, che resoconto da applauso, quello di Mattia Ferraresi su Il Foglio! Leggendolo mi sembrava proprio di essere in quella sala della Columbia University, allo Stille Party (o Stille Nacht).
Poi ho dovuto farmi una doccia per togliermi tutto quel radical-chiccume che mi si era appiccicato addosso. Ma di notte mi son svegliato sganasciandomi dalle risate dopo aver sognato Travaglio, la Borromeo e Davigo che andavano in gita premio a New York, sbronzi con lo champagne della business, cantando "Oh mare nero, mare nero, mare ne" e "Bella ciao"!

Vittorio GrazieFerraresi InFeltrito.

Stille nacht 2

LEZIONI DI STILLE! - "IL FOGLIO" INCARTA L’ORAZIONE FUNEBRE AL BERLUSCONISMO DI TRAVAGLIO, BEA-TROCE BORROMEO, ALEXANDER STILLE E IL GIUDICE DAVIGO INSEGNANO ALLA COLUMBIA UNIVERSITY DI NEW YORK - TITOLO DELL’EVENTO: “FREE PRESS” - NO, NON È IL GIORNALE GRATUITO SU CUI METTERE IL SEDERE IN METRO, MA IL “DAILY FACT”, ULTIMO BALUARDO DI UN PAESE CORROTTO (PERSINO RAI3 È SOLO UN CONTENTINO PER FAR CREDERE A NOI BIFOLCHI DI AVERE ANCORA UNA SCELTA) - IL FOLTO PUBBLICO (QUASI TUTTI ITALIANI) ENTRA DEMOCRATICAMENTE INDIGNATO ED ESCE CATARTICAMENTE PURIFICATO…





Mattia Ferraresi per "Il Foglio"
MARCO TRAVAGLIO CONCITA DE GREGORIO E MAURIZIO BELPIETRO SU LIBERO
Non si vedeva sgomitare in quel modo dal 1990, anno in cui i Megadeth e gli Slayer si sono consociati per un tour che ha messo a ferro e fuoco i palchi di mezzo mondo. Quello era metallo pesante, sgomitare era il minimo; invece la compressione di corpi umani con gara di posti ("no, queste diciannove sedie sono occupate"), lamentele da adrenalina pre show ("eh, però non spingete!") e adagi edificanti ("così non si fa") è alla scuola di giornalismo della Columbia University, grande tempio dell'informazione nell'Upper West Side di New York.
La fila italofona e rumoreggiante inizia in fondo alle scale e immediatamente si coglie un fremito d'attesa per l'incontro che sta per iniziare. Ci si aspetta come minimo una testimonianza di Bob Woodward e Carl Bernstein, il canto del cigno di Larry King, una seduta spiritica in cui si evoca l'anima di Joseph Pulitzer e lei stessa assegna i premi facendo correre la monetina sulla tabella.
Ma il pubblico è troppo italiano perché non ci sia sotto qualcosa di seriamente provinciale, e passata la prima rampa di scale si inizia a intuire che la verità è che un pugno di glorie del giornalismo di casa nostra stanno per essere promosse al rango di vedette internazionali. Il titolo dell'evento è un manifesto giustizialista tradotto letteralmente dall'italiano: "Free Press vs. Government Control: How Journalists Confront Political Corruption in Berlusconi's Italy".
Vedendo l'espressione "free press", qualcuno si chiede per un attimo se la conferenza sia incentrata sui giornali che vengono distribuiti gratis in metropolitana e invece è soltanto un inganno della traduzione. E per fare fronte all'ineluttabile problema che a New York si tende a parlare inglese e alcune delle nostre glorie non hanno confidenza con l'anglofonia, i fortunati che raggiungono l'ingresso della sala vengono approcciati da gentilissime hostess che porgono apparecchi per la traduzione simultanea.
TRAVAGLIO FRIENDS A NEW YORK
Tutti gli ospiti parleranno in italiano, tranne il gran cerimoniere e sacerdote della messa tintinnante, il prof. Alexander Stille, che da intellettuale engagé qual è s'è preso la briga di organizzare tutto assicurandosi che gli invitati fossero d'accordo fra di loro e con lui; e soprattutto che i convenuti alla celebrazione arrivassero con una giusta dose di risentimento per poi lasciare la sala purificati dopo l'aristotelica operazione di catarsi. Sul palco della scuola di giornalismo della Columbia ci sono Marco Travaglio e Piercamillo Davigo, del pool dell'operazione "Clean hands", che nei primi "Nineties" ha portato tanti politici in "handcuffs" e ha cambiato "the italian history", spiega Stille.
Peter Gomez ha dovuto rinunciare all'ultimo ma la delusione del pubblico viene immediatamente lenita dall'annuncio che il secondo giro d'interventi ospiterà Nadia Urbinati, Claudio Gatti del Sole 24 Ore e Beatrice Borromeo, che nel frattempo gira per la sala già gremita accogliendo ospiti e salutando in inglese amici di vecchia data.
Le operazioni di ingresso sono estremamente lente, non c'è posto per tutti e gli ultimi giovani accorsi decretano a un certo punto che accovacciarsi per terra è passabilmente radical chic; anche il Foglio si accoda alla seduta freak e riesce a incastrarsi in uno degli ultimi lotti di moquette disponibile, mentre in fondo alla sala la gente si assiepa in piedi, facendo attenzione a non impallare le telecamere.
BEATRICE BORROMEO
Colpisce l'occhio la presenza femminile: ventenni con sandali radical, unghie rosse e occhiali con montatura da nerd, donne di mezza età con i capelli tinti e il blocco degli appunti fra le mani, studentesse impegnate che dopo la requisitoria andranno a casa a finire i compiti dei costosissimi master che servono ai loro genitori per accreditarsi presso salotti più o meno buoni.
Comunque, se il giustizialismo all'italiana lo vendessero in un negozio sulla Fifth avenue, l'avventore medio sarebbe donna. O almeno questa è l'impressione. Il pubblico si sistema come può, le dita battono sui microfoni, gli uomini della stampa governativa - e quindi inevitabilmente corrotta, secondo il titolo coniato da Stille - si rintanano nelle loro sordide buche e quando il rappresentante della stampa libera Federico Rampini entra in sala con un gilet da inviato di guerra il quadro è completo e si può finalmente cominciare.
Il sacerdote inizia la celebrazione del rito presentando gli ospiti, soprattutto Marco Travaglio, fondatore di The Daily Fact, che detto così sembra un giornale cialtrone inventato da Evelyn Waugh insieme a The Daily Beast e The Daily Brute e invece, spiega il fondatore alla folla orante, è uno dei pochi posti italiani in cui si applicano quei "criteri giornalistici" che sono ovvi al resto del mondo civilizzato.
In più, The Daily Fact vende "115/120 mila copie al giorno", e sono tutti lettori che Travaglio e i suoi hanno creato ex nihilo, diventando levatrici dell'anima degli italiani. E' maieutica giornalistica, l'arte di levare dallo spirito una verità già presente, ma come sopita e bisognosa di un'ostetrica antigovernativa che rompa l'inganno e la faccia emergere in tutto il suo autonomo splendore.
Grazie a quest'arte Travaglio e Davigo si sono guadagnati lo status di flagelli del diabolico Berlusconi e di tutte le creature che ha sparso per il suo regno mediatico. Introdotto dalla magniloquenza di Stille - che una metà buona degli astanti chiama "Stiller" - il caravanserraglio delle manette inaugura le proprie lezioni americane nel tempio incontrastato dell'obiettività, dove la notizia o è al servizio della verità o semplicemente non è.
Quella fondata da Pulitzer nel 1912 è una specie di palestra dove si raddrizzano schiene altrimenti prone al servizio del potere e si studiano oscure soluzioni tecnologiche per allargare il campo della comunicazione; in quasi un secolo di gloriosa storia dall'edificio ben tenuto nel campus della Columbia di giornalisti scomodi ne sono usciti a decine, a centinaia, e forse senza la scuola il mondo non potrebbe godere dei tweet di Gianni Riotta.
STILE01 FERRARA ALEXANDER STILLE
Si ride di gusto al centone di servilismo berlusconiano tratto da YouTube: Mike Buongiorno nel 1994 loda Berlusconi, Raimondo Vianello esalta Berlusconi, Bruno Vespa ("quello che a stento si distingue da un maggiordomo", dice Mark) fa firmare a Berlusconi il contratto con gli italiani sulla scrivania di ciliegio portata apposta per l'occasione nello studio di "Porta a Porta". Stille dice che "ha copiato da Gingrich l'idea del contratto con gli italiani, ma almeno a Gingrich non l'hanno fatto firmare in diretta televisiva".
Nelle ultime file alcuni cercano sull'iPhone il significato della parola "gingrich" e, non trovandolo, fingono di aver capito. Sarà che il panel non prevede un contraddittorio, ma alla prima sillaba di Marco Travaglio detto Mark parte un applauso sulla fiducia, molto simile alle ovazioni comandate dei programmi televisivi che Travaglio usa per descrivere il "recinto" mediatico che Berlusconi ha costruito nel corso degli anni.
Tutto ciò che è dentro ha visibilità pubblica, ma le notizie fuori dal recinto presidenziale vengono nascoste, omesse, sottovalutate e taroccate dal premier per interposto cameriere. Ha creato un Truman Show ("quello del noto film", didascalizza Travaglio) in cui "tutto è deciso da Silvio Berlusconi". E giù di Minzolini, Vespa, e i milioni di italiani la cui unica fonte d'informazione nella vita sono le trasmissioni di Rai Uno in cui i politici del governo fanno "dichiarazioni su argomenti a piacere" che vengono trasmesse nelle ore che Berlusconi ha stabilito.
A sorpresa se la prende anche con la rete che "dovrebbe" fare opposizione al governo, la stessa che lo intervisterà a fine serata. Da lì non si scappa, perché Berlusconi è furbo e illude gli italiani di avere margini di libertà nello scegliere le fonti d'informazione. Ma i pozzi sono così avvelenati che la gente si è convinta che il veleno sia dolce al palato e qui ecco il ruolo di The Daily Fact che con un lavoro di resistenza risveglia le coscienze dall'assuefazione.
FEDERICO RAMPINI
Lavoro tosto, non c'è dubbio, ma anche Morpheus c'ha messo un po' a convincere Neo ad abbandonare Matrix. Immancabilmente si passa al martirologio: il Cav. se l'è presa con Montanelli, Biagi, Luttazzi, Santoro, Boffo, "tutti i più grandi giornalisti italiani", dice Mark prima di escludere Boffo dalla lista dei grandi (ma non da quella degli eliminati). Per il resto Travaglio rende edotta l'America a proposito delle keyword berlusconiane: "Ad personam", "scudo spaziale", "Fini ha finalmente parlato di legalità", "escort, ma chiamiamole pure prostitute", "stuprare minorenni", "rapinare banche".
In realtà non è l'America a essere edotta, ma l'Italia del luogo comune antiberlusconiano che parla al suo doppio che abita nei salotti di New York con l'aria patita del rifugiato politico. Davigo - a cui devono tradurre anche il cartello "no smoking" - fa un intervento sobrio sulle anomalie del sistema italiano, dove "chi detiene il potere crede di non essere sottoposto alla legge".
Cita Montesquieu per spiegare la divisione dei poteri e commenta il rapporto (inesistente) fra giustizia e politica arrivando a fare una dichiarazione sconcertante: "Il giudice che cerca il consenso è pericoloso": Ponzio Pilato, spiega, ha cercato il consenso del popolo e "non è passato alla storia per essere stato un buon giudice". Applausi non convintissimi, perché non si capisce esattamente se sia un endorsement a Gesù o un complimento indiretto a Erode per aver sostanziato la condanna con argomenti più solidi. Il giro si allarga, e al tavolo si accomodano i nuovi ospiti.
Non si capisce se Nadia Urbinati parli in inglese per fare un favore a Stille o un dispetto a Davigo, ma a prescindere dall'idioma il contenuto è ficcante: nell'Italia di Berlusconi il linguaggio è diventato un "mezzo per l'aggressione" e proprio mentre scioglie questo concetto una voce dall'ultimissima fila si leva per contestare ("è un quarto d'ora che parli e non stai dicendo nulla" e altri improperi); Nadia non si fa scoraggiare e anzi contrattacca usando il contestatore come esempio perfetto di una cultura italiana corrotta che non sa ascoltare, parla sopra all'avversario e non aspetta nemmeno che questo finisca di parlare per criticarlo civilmente.
E quando l'intervento finisce con un "thank you", il contestatore si trasforma da classico disturbatore di incontri pubblici in genio della comunicazione, urlando: "You're welcome. Now shut up!". L'intervento anglosassone di Claudio Gatti del Sole 24 Ore, il quale se la prende pure con i giornalisti che vengono pagati dalle lobby, magari dalle industrie, magari da quelle del petrolio, passa in sordina, perché è troppa l'attesa per Beatrice Borromeo. Tutti gli ospiti hanno invitato a "chiamare le cose con il loro nome", e Travaglio ha citato persino il concetto zagrebelskyano della "corruzione delle parole", quindi l'intervento della Borromeo va definito per ciò che è: una testimonianza.
MARCO TRAVAGLIO
Si parte dall'intervista a Marcello Dell'Utri, che alla domanda scomoda con cui Beatrice ha attaccato ("Berlusconi è arrabbiato con lei?") ha fatto una faccia che lei riproduce dal vivo, perché "renderla con le parole è impossibile". Certo, c'è un autore largamente sconosciuto, si chiama Dante Alighieri, che con le parole ha raccontato l'inferno, il purgatorio e il paradiso in terzine incatenate ma per Beatrice (Borromeo) la faccia di Dell'Utri rappresenta un ostacolo comunicativo insormontabile.
Del resto, essendo lui l'uomo che "tuttora tiene i rapporti fra Berlusconi e Cosa nostra", viene difficile persino scriverne. Dall'aneddotica, la scomoda Beatrice passa alla filosofia sartriana, accennando a una teoria sulla "mancanza di vergogna" della classe dirigente italiana, e su questo la verve si spegne anche perché la gente inizia ad abbandonare la sala e Travaglio ha ancora un paio di cose da dire all'America, cioè all'italietta ivi radunata, cioè al radicalismo ombelicale che fa bella mostra di sé nell'Upper West Side. Dopo 2 ore, 36 minuti e una manciata di secondi, la messa è finita e Stille concede a tutti di andare in pace.
Prima di abbandonare definitivamente il campus Travaglio e la Borromeo si mettono in posa per i fotografi davanti al glorioso ingresso della scuola, scambiano battute su quant'è dura la vita sotto la dittatura, solidarizzano con i fan e decidono che è arrivato il momento di andare a mangiare.

DISTIMIA. Missing and loving.

Ma, non sentire la mancanza del proprio partner, vuol dire non amare?

martedì 14 settembre 2010

lunedì 13 settembre 2010

venerdì 10 settembre 2010

mercoledì 8 settembre 2010

Fin...i della recita.

DISTIMIA. Uomini e bestie.

CHI DI SE STESSO FA UNA BESTIA
SI LIBERA DAL DOLORE DI ESSERE UOMO.
(Dr. Johnson)

Convertiti o voltagabbana?

DISTIMIA. Troppo tardi.

Troppo tardi,
sempre troppo tardi
rimpiangi la parola
non ascoltata
non detta,
la carezza non fatta,
l'ora non data
a tuo padre,
a tua madre.

lunedì 6 settembre 2010

Campagne di destra e campagne di sinistra

Viaggiare

In viaggio il lusso è nemico dell'osservazione; è una dispendiosa indulgenza e dà sensazioni tanto piacevoli che non ti accorgi più di niente.

(P. Theroux; "Un treno fantasma verso la Stella dell'Est".)

Plagio

Quel che non è autobiografia è plagio.
(Almodovar)

giovedì 2 settembre 2010