DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

sabato 30 luglio 2011

venerdì 29 luglio 2011

martedì 26 luglio 2011

Superiorità morale









DISTIMIA

Sprofondato.
Fermo.
Inerte.
Piantato.
Impantanato.
Un tronco secco.
Un ceppo marcescente.

Dov'è più la linfa?

sabato 23 luglio 2011

DISTIMIA...

Ritorna. Ma non se n'era andata?

venerdì 22 luglio 2011

giovedì 21 luglio 2011

I Radicali e il culo di Caino

ARCHIVIO › ANDREA'S VERSION

21 luglio 2011

Tra gli interventi svolti ieri alla Camera dei deputati sull’autorizzazione all’arresto dell’onorevole Papa, poi brillantemente andato in porto, particolarmente acuto e convincente è sembrato quello dell’onorevole radicale Rita Bernardini. La quale ha sostenuto questo: essendo indiscutibile che, in Italia, vige un uso diffuso e inaccettabile della carcerazione preventiva; essendo questo ingiusto; essendo evidente che a questa pratica andrebbe posto rimedio, anche se il governo non ha mosso un solo passo in questa direzione; risultando accertato che la popolazione rinchiusa nelle carceri nazionali è costituita per il 40 per cento da detenuti in attesa di giudizio; considerando altresì che la metà di quel 40 per cento verrà senz’altro assolta, ciò che costituisce una vergogna, a questo punto siamo favorevoli che la carcerazione preventiva, vale a dire quella stessa vergogna, se la succhi anche l’onorevole Papa. L’onorevole Bernardini ha confermato così quanto i Radicali siano davvero radicali. Possono stare per quarant’anni senza nemmeno sfiorarlo, Caino, ma quando decidono se lo inculano vivo.

mercoledì 20 luglio 2011

Fini: venditore di aspirapolveri?

ARCHIVIO › ANDREA'S VERSION

20 luglio 2011

Paolo Borsellino si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo nel 1959. Era di destra e iscritto al Fuan, l’organizzazione universitaria missina, quando gli scontri tra rossi e neri erano abbastanza frequenti. Borsellino venne accusato dalla polizia di aver partecipato a uno di questi, una specie di grande rissa avvenuta dalle parti dell’università nel 1960, cosicché venne aperto un fascicolo su di lui dal magistrato competente e, per giudicare sulla sua partecipazione o meno alla suddetta rissa, venne chiamato Cesare Terranova, poi ucciso dalla mafia in un attentato che fece storia. Borsellino si difese, contestò di aver partecipato allo scontro e convinse il giudice Terranova delle sue buone ragioni, tanto che Terranova archiviò il caso e mandò libero un inquisito che avrebbe fatto poi, del rispetto della legge, la ragione stessa della propria vita. Ho raccontato questa storia su un inquisito particolarissimo perché, dopo aver ascoltato Fini il quale, proprio alla commemorazione di Borsellino, ha proposto che “gli inquisiti non devono ricoprire incarichi pubblici”, mi sono domandato se questo Fini fosse il famoso dirigente politico o un venditore di aspirapolveri.

martedì 19 luglio 2011

DISTIMIA...

...ri-bye-bye!

Libero indagato per offesa al Capo dello Stato

COME PASSA IL TEMPO LA PROCURA DI MILANO:


DISTIMIA. E una sposa indiana.

Oggi canticchio.
Di nuovo.
Che bello.

E che bella:

venerdì 15 luglio 2011

I nostri professoroni in Cina

La Cina continua ad arrestare i dissidenti con l'accusa di sovversione, o di frode fiscale come degli Al Capone; oppure li priva di Internet e di Passaporto; controlla giornalisti e avvocati che si occupano di diritti umani; mette in galera e tortura centinaia di dissidenti o di manifestanti tibetani o uiguri. Quante siano le vittime non si sa.  Nessuno pensa, naturalmente, di mandare i bombardieri della Nato a punire il governo cinese. Ma é il caso che i professoroni occidentali continuino ad andare in Cina a fare le loro belle e ben pagate conferenze? Vanno, per caso, a insegnare come fregare meglio le nostre già disastrate economie? Anche il nostro Romano Prodi, che è sempre là: gli è mai passato per la testa di chiudere le sue conferenze con qualche parola sui diritti umani in Cina e in Tibet? O teme che non lo farebbero più tornare?
Vittorio Poverotibet InFeltrito

Rompere. Gli schemi?

Santoro: "C'è un enorme pubblico che ci chiede di rompere gli schemi". E il rimanente che chiede di non rompere più i coglioni con le sue martirizzazioni.
Vittorio Sansebastiano InFeltrito Spadellato





Montezemolo, il salvatore della Patria?'

Ollio Telese e Stanlio Costamagna

Lettera 19
Ieri sera "In Onda" le comiche a La7: Ollio Telese e Stanlio Costamagna erano insieme al compagno-amico Vendola che parla come Gatto Silvestro e a Pierluigi Battista che sembra Poldo Sbaffini, l'ometto con i baffetti che mangia hot-dogs nei cartoni di Braccio di Ferro. Intervista finale a Massimo Mandrake D'Alema. Allegria, direbbe il vecchio Mike!
P.S.: ma quella Costamagna ride anche quando le muore la nonna?
Vittorio Busterkeaton InFeltrito Spadellato

Kabul: giustizia un po' più veloce che in Italia

Torna alla carica Prodi

Torna alla carica l'Eco...munist

Opposizione, mutande e coglioni

mercoledì 13 luglio 2011

Valli a capire...





SACCONI HA DETTO A TREMONTI DI BRUNETTA: "IO NON LO SEGUO NEANCHE". TRE GIORNI DOPO LO HA SEGUITO FINO A RAVELLO PER FARGLI DA TESTIMONE DI NOZZE -


Lettera 4
Tremonti ha detto di Brunetta: "Quello è un cretino!". Sacconi ha replicato con sufficienza: "Io non lo seguo neanche". Tre giorni dopo gli ha fatto da testimone alle nozze.
Vittorio Valliacapire InFeltrito ImBelpietrito

lunedì 11 luglio 2011

Cossiga piccona ancora

1- FARINA DEL DIAVOLO! 'BETULLA' MANDA IN LIBRERIA IL BOMBASTICO "MI RICORDO" DI COSSIGA - 2- DA PIAZZA FONTANA A MORO, DA GLADIO A MANI PULITE FINO AD ABU OMAR-POLLARI - 3- “DURANTE UN INTERROGATORIO, PER FAR VEDERE CON CHI AVEVA A CHE FARE, PRIMO GREGANTI PICCHIÒ DI PIETRO. PROPRIO COME FACEVANO ALCUNI IMPAVIDI PARTIGIANI CON GLI UFFICIALI DELLA GESTAPO. QUELLI PERÒ VENIVANO FUCILATI. GREGANTI NO" - 4- "IL SISMI DI POLLARI CON IL SEQUESTRO DI ABU OMAR NON C’ENTRA NULLA. I GRANDI AMICI DEL SUPPOSTO CONSOLE GENERALE CHE ERA IL RESIDENTE DELLA CIA A MILANO, BOB LADY, ERANO ALCUNI MAGISTRATI DI MILANO E IL CAPO DELLA DIGOS... I MAGISTRATI AUTORIZZARONO, SENZA AVVOCATO DIFENSORE E SENZA LA PRESENZA DI MAGISTRATI ITALIANI, L’INTERROGATORIO IN CARCERE DA PARTE DELL’FBI DEL FUTURO “RAPITO”..." -

IL LIBRO
Esce per Marsilio editori "Cossiga mi ha detto". Il testamento politico di un protagonista della storia italiana del Novecento (pp. 240, 18 €) di Renato Farina, esito dei lunghi colloqui intercorsi tra il giornalista di "Libero" e Francesco Cossiga. Il presidente emerito della Repubblica dà libero corso a confessioni e dichiarazioni inedite scandite dalle incalzanti domande dell'amico giornalista. Una fra tutte: Francesco, ti sei confessato per l'omicidio Moro?

Tratto da "Cossiga mi ha detto", di Renato Farina (Marsilio)
MANI PULITE E AMERICANE
In realtà, quando presero con i soldi nel cesso il Mario Chiesa alla Baggina di Milano, febbraio 1992, erano già tre anni che lavoravano con le intercettazioni. Antonio Di Pietro ha ammesso di aver incastrato Chiesa con le intercettazioni. E su diversi blog hanno usato questa sua autodenuncia per sostenerne l'utilità. Ma non furono mai esibite in nessun processo, e se ci furono erano illegali.
Mi domando: grazie a chi furono effettuate? C'entrano servizi segreti deviati? O magari gli americani? I quali vedevano male sia Craxi sia Andreotti per le loro posizioni filoarabe, e avevano anche dei riflessi di vendetta per Sigonella.
A Di Pietro voglio bene. È un asino intelligentissimo. Pur con tutti i suoi viaggi in America, le scatole di scarpe con i soldi da restituire, contava però poco. Era uno strumento. Lui avrebbe colpito anche i comunisti. Ma non era possibile, erano troppo protetti dai suoi colleghi.
Ai comunisti si perdonavano anche a livello di opinione pubblica i denari di Mosca: soldi macchiati dal sangue dei gulag, perché era nei gulag che si producevano gli extragettiti, i tesoretti (uso il linguaggio da operetta della politica attuale) poi versati nelle casse dei compagni. Non li valuto male per questo. C'è una favolosa coerenza in questa cecità dei comunisti.
Qui rivelo un episodio inedito. Durante un interrogatorio, per far vedere con chi aveva a che fare, Primo Greganti, il mitico Compagno G., picchiò Di Pietro. Gli balzò addosso. Proprio come facevano alcuni impavidi partigiani con gli ufficiali della Gestapo. Quelli però venivano fucilati. Greganti è, per fortuna, tornato tra noi.
Degli altri del pool, Piercamillo Davigo ha le sue competenze tecniche, senz'altro, ed è un fascista in senso tecnicogiuridico.
Gherardo Colombo è un estremista di sinistra che ha subordinato la ricerca della verità processuale alla convenienza ideologica, con eleganza, con buona fede, con perseveranza diabolica.
Di Gerardo D'Ambrosio dico che è stato da sempre l'uomo del Pci al Palazzo di Giustizia di Milano. Un onesto comunista. E mi sembra che ogni passo della sua carriera rifletta bene questa sua compostezza di compagno. Ha difeso il commissario Luigi Calabresi dalle calunnie negli anni settanta. Per il resto, mi è stata riferita una frase di Di Pietro: «Ha la scrivania sempre sgombra di carte, non fa un cazzo». Guidava, curava non toccassero il Pci.
Di Francesco Saverio Borrelli vale una lettera scritta per un processo. Non mi vollero testimone. Si giudicava a proposito di un'intervista firmata da te, Renato Farina, a Bettino Craxi da cui Borrelli riteneva di essere stato diffamato. La trascrivo, oltretutto i giornali non ne dettero notizia. Solo Dagospia, il sito del mio amico Roberto D'Agostino, la notò.
Roma, 7 gennaio 2004
Caro Renato,
a suo tempo mi hai spiegato come il tribunale di Brescia non intenda avvalersi della mia testimonianza in ordine all'azione penale intrapresa contro il presidente Bettino Craxi e contro di te dal dottor Francesco Saverio Borrelli, pur essendo io stato presidente del Consiglio superiore della magistratura e perciò informato del modo con cui l'alto Magistrato ottenne l'incarico di procuratore della Repubblica di Milano. (...)
Anni fa, l'allora procuratore della Repubblica di Milano dottor Borrelli mi chiamò al mattino presto nella mia abitazione: più che chiedere mi intimò per telefono di smentire che egli - come io in un'intervista avevo riferito - fosse socialista, dicendo anzi che era di famiglia monarchica. Gli obiettai che dettare all'Ansa una smentita di tale natura, nella quale avrei fatto ovviamente riferimento a quanto da lui dichiaratomi, sarebbe stato a mio avviso del tutto inopportuno.
Avendo egli insistito, io allora gli dissi - come poi effettivamente feci - che avrei eseguito; non mi chiedesse però di smentire in futuro quel che io sapevo con certezza e cognizione dei fatti: e che cioè la sua nomina a procuratore della Repubblica era avvenuta con l'opposizione della Democrazia cristiana e su pressione del Partito socialista italiano, guidato da Bettino Craxi. A tal punto la cosa era da tutti risaputa che, anche dopo l'arresto di Mario Chiesa, i socialisti milanesi si sentivano del tutto tranquilli perché affermavano di poter contare in procura su amici fidati tra cui - udite udite! - il giovane e pugnace Antonio Di Pietro.
Tuo aff.mo amico
Francesco Cossiga
Presidente emerito della Repubblica
Ovviamente, pur essendo stata esposta e depositata questa lettera, il tribunale di Brescia condannò.
Tutti i magistrati italiani, e in particolare quelli di Brescia, cui sono trasmesse tutte le pratiche riguardanti i colleghi milanesi, hanno una sudditanza come minimo psicologica verso Borrelli, Spataro eccetera. Potrebbero permettersi di uccidere la sorella davanti alle telecamere: sarebbero prosciolti, salvo poi qualche pizzicotto sulle parti molli nelle motivazioni dell'archiviazione.
È capitato così per le denunce da me fatte a Brescia per la vicenda di Abu Omar e per quelle di altri. Violazioni di segreti, mosse a mio giudizio fuorilegge? Tutto a posto. Archiviazioni. Con motivazioni demolitive, ma alla fine finisce sempre così, sin dai tempi di Di Pietro.
Ricordo che chi lo ebbe a indagare, il pm Fabio Salamone, si trovò subito il fratello Filippo nei guai giudiziari in Sicilia. Tutto per combinazione, ovvio. Archiviazione sicura (per Di Pietro).
2- QUANDO POLLARI DISSE "NON LO FACCIO"
Ho tirato in ballo Abu Omar. E a questo proposito avverto. Si è consumata una clamorosa ingiustizia nei confronti di Nicolò Pollari e degli altri del Sismi.
Allora. T-u-t-t-o. È la prima volta che dico tutto. Il Sismi con il sequestro di Abu Omar non c'entra nulla. I grandi amici del supposto console generale che era il residente della Cia a Milano, Bob Lady, erano alcuni magistrati di Milano e il capo della Digos che banchettavano mattino e sera con lui («prendevano il caffè» ripetono anche in tribunale in questo strano processo che procede lo stesso con la spada di Damocle del giudizio della Corte costituzionale). La Procura della Repubblica di Milano autorizzò contro legge l'interrogatorio in carcere - quando avevano arrestato Abu Omar - da parte dell'Fbi. Non ci credi?
È così! I magistrati autorizzarono, senza avvocato difensore e senza la presenza di magistrati italiani, l'interrogatorio in carcere da parte dell'Fbi del futuro "rapito".
Vuoi la verità? Ci fu una riunione cui parteciparono i direttori dei servizi segreti con il sottosegretario Gianni Letta. Sul tavolo c'era la richiesta da parte degli americani di effettuare delle extraordinary rendition. Pratiche in realtà di ordinaria amministrazione in altri Paesi d'Europa: c'è un protocollo segreto dove si chiamano removals e vennero autorizzate ad Atene alla presenza anche di componenti della Commissione europea di Prodi.
Pollari in questa riunione si oppose, addusse ragioni giuridiche e morali. Concluse: «Questo è contro la legge, io non mi impegno». Il segretario generale del Cesis (il coordinamento dei servizi segreti) il povero Fernando Masone, scomparso nel luglio 2003, lo prese di petto: «Se non sei capace di fare questa operazione, molto male. Non dovevi accettare di fare il direttore del Sismi, se hai questi scrupoli».
Ma il generale di corpo d'Armata Pollari, da buon ufficiale di polizia giudiziaria quale era stato, fu irremovibile e Letta ne prese atto con soddisfazione sciogliendo la riunione.
Che successe dopo? Di certo il Sismi fu tagliato fuori. Gli americani usarono altri canali. Chi diede l'aiuto per il rapimento tra virgolette, fu il Ros dei carabinieri. Il maresciallo che lo consegnò patteggiò, ebbe 18 mesi. E oggi è tranquillamente in servizio. Mentre Pio Pompa, che non ha subito alcuna condanna e non ha partecipato ad alcun sequestro né vero né finto, è stato cacciato dal Sismi e su ordine di Giuseppe D'Avanzo persino mandato via dal ministero della Difesa, ed è stato abbandonato da tutti.
Pompa è la vittima più incresciosa di questa storia. È un grande esperto di fonti aperte, cioè di materiale attingibile tranquillamente da internet. Oggi i servizi segreti più seri (Usa, Regno Unito, Israele) lavorano soprattutto su questo materiale. Pompa prima ha subìto una ridicolarizzazione motivata ("ma guarda che classe") dal suo nome e dal suo aspetto mingherlino; poi, si è sostenuto che il semplice lavoro di selezione e di interpretazione delle notizie ricavate dal web costituisse un reato ignobile.
Il colmo è accaduto quando, a fine agosto 2008, «Repubblica» ha presentato come uno straordinario scoop la documentazione dei rapporti di stretta colleganza tra le Farc colombiane (i terroristi che hanno rapito Ingrid Betancourt per intenderci) e Rifondazione comunista in Italia. Questa segnalazione era contenuta già nelle carte sequestrate nell'archivio di Pio Pompa e demonizzate a prescindere. Bisognerebbe leggerle e si scoprirebbero molte verità interessanti sui nessi tra magistratura e ambienti pseudorivoluzionari.
Il colmo è che «Repubblica» riesce a giocare come sempre due parti in commedia. Distrugge umanamente Pompa e annienta il Sismi con la collaborazione dei magistrati di Milano. Poi finge di aver scoperto, grazie alle sue inchieste, ciò che, quando lo fece Pompa, aveva meritato la fucilazione mediatica e l'impiccagione giudiziaria.
Il maresciallo del Ros Luciano Pironi ha fatto il suo dovere, ha obbedito. Il capitano al quale Pironi attraverso il telefonino comunicava le fasi della consegna di Abu Omar non è stato mai neanche interrogato. Il nucleo di polizia militare dell'aeroporto di Aviano, carabinieri, non è stato mai interrogato perché, anche per il buon Armando Spataro, prendersela con il Sismi era nulla, prendersela con i carabinieri un po' più pericoloso.
Un altro problema: fu vero rapimento il fatto accaduto a Milano nei pressi del Centro islamico di viale Jenner il 17 febbraio del 2003? O Abu Omar era già al soldo degli americani e venne in questo modo messo in sicurezza per salvargli la ghirba?
O Abu Omar doveva essere convinto dalla Cia a passare al suo servizio? Perché una persona, che poi ha detto di essere stata picchiata e torturata, messa nelle mani degli egiziani, nemici implacabili degli estremisti islamici, telefona alla moglie e poi vive e rilascia interviste in una sontuosa casa di Alessandria?
Mi domando: agli atti c'è la testimonianza di Abu Omar per cui sarebbe stato immediatamente consegnato al ministro dell'Interno egiziano. Perché non è stato incriminato o almeno richiesto di una testimonianza?
C'è un'evidente gestione politica di tutto questo. C'è qualcosa che non torna.

(Dagospia)

Monicelli

Lettera 25
"L'orribile film di Monicelli". Quando, a suo tempo, ho visto "Le rose del deserto" mi era parso una boiata; ma ...zitto, perchè Monicelli non si tocca. Bravo Dago.
Vittorio Ancheimaestrifannocazzate InFeltrito

martedì 5 luglio 2011

Ridi e deridi...

Se la sinistra è ipocrita e deride Alfano soltanto per attaccare Berlusconi


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Invocano il rinnovamento, poi colpiscono l'unico leader 40enne. La critica: il Pdl è monarchico. Ma chi ha detto che è un difetto?

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Sono stati miserabili i commenti della sinistra e di tanta stampa all’investitura di Alfano a segretario del Pdl. Da tempo si invoca un ringiovanimento della politica, una svolta generazionale, e si chiede alla politica più meritocrazia e lotta alla disonestà trasversale che la infogna. Ma appena viene eletto, con un bel salto generazionale, un «giovane» senza scheletri nell’armadio che si appella alla meritocrazia e all’onestà nella politica e denuncia onestamente che ce n’è forte bisogno anche nel suo partito, scatta l’insulto e la derisione.

venerdì 1 luglio 2011

I compagni del regresso

Libero-news.it
G
iampaolo Pansa, ieri, ha raccontato che la sinistra non voleva neppure l’Autosole, altro che Tav: ed è una buona occasione per ricordare che la stessa sinistra era pure contro la televisione, contro l’automobile, contro la metropolitana, contro i grattacieli, contro i ponti e i sottopassaggi, contro l’alta velocità in ogni sua forma, contro i computer, contro l’automazione del lavoro, contro il part-time e in sostanza contro tutto ciò che ha fatto da traino alla modernizzazione. Non è chiaro per quale ragione, intanto, si definissero «progressisti».

Nel caso dell’Autosole, la sinistra non l’approvava perché privilegiava i consumi individuali a discapito del trasporto pubblico: questa la tesi. Il 3 ottobre 1964, dopo l’inaugurazione dell’Autostrada, l’Unità scrisse questo: «Abbiamo l’autostrada, ma non sappiamo a che serve... è evidente l’impegno di spremere l’economia nazionale nella direzione di una motorizzazione individuale forzata... dimenticando che mancano le strade normali in città e nel resto del Paese».

PRIVILEGI
Sembrano i titoli dell’Unità circa il ponte di Messina. Lo schema è sì migliorato, ma non molto mutato: da allora a oggi ogni grande opera è stata inquadrata come un fumo spettacolare ma privo del necessario arrosto. Roba per pochi: «Velocità alte e comode», insisteva l’Unità, «sono soltanto per redditi più elevati». Quelli dei camionisti bulgari, per esempio. E non dite che sono polemiche datate, perché ciò scrisse l’Unità dell’8 gennaio 1977, quando il Pci era ai massimi: «Gli investimenti in autostrade hanno aperto una falla difficilmente colmabile nelle risorse del Paese, a detrimento di investimenti la cui mancanza determina continui danni economici ed ecologici».

La magica parola, ecologia, era già stata requisita dalla sinistra non senza colpe di un centrodestra piuttosto vacante sul tema. Resta il delirio: «Mettere fine agli sperperi in una ragnatela di autostrade, dando rigorosa precedenza a investimenti sociali e produttivi, è il nostro impegno». Sempre l’Unità. Era il gergo sempreverde che andava a richiamare «un diverso modello di sviluppo». Quale? Mai capito. La mentalità è in parte rimasta.

METRO'? DI DESTRALa sinistra progressista, nel dopoguerra, si era già opposta alla realizzazione della Metropolitana milanese; negli anni Sessanta, il tram era definito di sinistra e la metropolitana di destra: va da sé che anche le conseguenze di questo, oggi, separano lo status di certe città italiane da quello di altre metropoli europee. La sinistra progressista si oppose parimenti allo sviluppo urbanistico verticale (i grattacieli) e anche di questo le conseguenze sono note. Una volta tinta di verde, la stessa sinistra avrà modo di opporsi a tutti i progetti di Alta velocità ferroviaria, alla variante di valico Firenze-Bologna, alla realizzazione dell’aeroporto della Malpensa, al progetto Mose per salvare Venezia, per non parlare appunto del ponte sullo Stretto e di ciò che è successo coll’energia nucleare: eravamo il terzo paese del mondo per produzione, prima dello stop via referendum.  Poi, se volete divertirvi, c’è la televisione. Nel 1954, a dir il vero, la nascita della tv italiana fu accolta con sospetto e freddezza non solo a sinistra: nessun quotidiano, infatti, a parte La Stampa, riportò la notizia in prima pagina.

UN MONDO A COLORIEra già evidente che cosa avrebbe potuto determinare nei costumi di un Paese: negli Stati Uniti i televisori erano già trenta milioni, in Inghilterra tre milioni, la Rai in ogni caso vantava già centinaia di dipendenti. Un esordio in bianco e nero che forse contribuirà a ritardare di dieci anni quello della televisione a colori: fin dal 1967 la tecnologia fu ampiamente disponibile (apparteneva già a Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Francia, Giappone e persino, sì, all’Unione Sovietica) ma in Italia riaffioravano discorsi sui consumi individuali e collettivi: «La Tv a colori è caldeggiata dagli industriali e dalla Rai» titolava l’Unità del 14 settembre 1977. Vade retro: «La questione non è se tradurre in Italia la tv a colori, bensì quando introdurla… chiarire se il paese può sopportare questa spesa e quali vantaggi eventuali, se vantaggi ci sono, potrebbe dare alla nostra economia». L’arcano, oggi, pare risolto. Ma allora no: «Si tratta di capire e decidere», tuonava l’Unità, «se la tv a colori è conciliabile con la vigente necessità di case, scuole, ospedali». A parte il congiuntivo sbagliato, oggi forse è più facile requisire case e scuole e ospedali che non i televisori a colori.
(F. Facci)