DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

giovedì 29 agosto 2013

Mannaggia, ci hanno tolto l'Imu!

Ieri mattina alla radio il popolo di Rai 3 era tutto un "Io voglio pagare l'Imu", "Non è giusto toglierla", "E' una tassa giusta". Così virtuosi son diventati gli italiani? O erano soltanto quelli che la pagherebbero volentieri pur di fare un dispetto a Berluconi? E oggi, grandi alzate di spalle alla notizia dell'abolizione. Bè, ragazzi, ve l'hanno tolta ma potete sempre versare volontariamente quei soldi allo Stato, eh?
Vittorio Vogliopropriovedere InFeltrito

lunedì 26 agosto 2013

Due bande di pazzi




Dà il voltastomaco leggere le cronache dei giornali dedicate alla politica italiana. Non per lo stile delle singole testate e dei giornalisti. Ormai sono un signore vaccinato e da anni non credo più alla neutralità dell’informazione, soprattutto quando racconta le vicende dei partiti. Del resto è sufficiente tener conto di un paio di quotidiani che non la pensano nello stesso modo e l’equilibrio viene ristabilito. 
 Il voltastomaco nasce dal comportamento dei partiti in questa stagione di drammatiche incertezze. A cominciare dalle due parrocchie maggiori, il Pdl e il Pd, siamo di fronte a un caso quasi criminale di miopia politica e civile. Il centrodestra e il centrosinistra continuano a pestarsi sulla sorte di Silvio Berlusconi. Bisogna salvarlo o no? Occorre ridargli l’agibilità politica, immagine orrenda che fa pensare a un signore bloccato su una sedia a rotelle da un attacco di paralisi, oppure è meglio abbandonarlo al suo destino, che vada pure in carcere o all’inferno? 
 In realtà da salvare c’è un bene assai più grande. È  l’Italia, il nostro paese, in altri tempi avremmo detto la nostra patria. Con tutto quello che ne consegue: l’esistenza di milioni di persone, la sicurezza del domani, il futuro dei giovani e, se permettete, anche quello degli anziani. 
Sì, proprio degli anziani che hanno costruito il benessere italiano, hanno lavorato per tutta la vita, hanno risparmiato quel poco che potevano, come formiche giudiziose. E adesso si trovano davanti al rischio di veder andare tutto a ramengo. Per colpa di due bande di pazzi che scavano la fossa non soltanto per se stessi, ma per tutti noi. 
Cosa penso del cav - È  inutile che spieghi di chi stia parlando. Li ho appena nominati. Uno è la banda della rediviva Forza Italia, guidata da cavalier Berlusconi. L’altra è la banda democratica, guidata da chissà chi: Epifani, Renzi, gli eredi di Bersani? O forse da Enrico Letta e da Giorgio Napolitano, gli unici che a sinistra hanno conservato la saggezza necessaria a non portarci tutti al disastro.
Domenica scorsa ho già spiegato che cosa pensi del Cavaliere. L’ho messo nero su bianco non perché ritenga di essere un giudice inappellabile: come tutti i giornalisti, anch’io conto quanto il due di picche e sono soggetto a sbagliare. L’ho scritto soltanto per rispetto dei miei lettori e per il desiderio di essere chiaro soprattutto nei loro confronti. Però mi è rimasta nella strozza qualcosa che devo ancora tirar fuori.
La prima è una domanda e una constatazione che molti si fanno. Che cosa può aspettarsi Berlusconi per quel riguarda le sue vicende processuali, odierne e future? A mio parere poco o niente. Per un tempo che può sembrare lungo agli occhi di un signore che tra un mese compirà 77 anni, non deve attendersi nulla di buono. Nessuna grazia da Napolitano. Nessuna amnistia. Nessuna clemenza dalla commissione di Palazzo Madama che deve decidere la sua permanenza in Senato. L’ipotesi più probabile è che Berlusconi debba scontare la pena di un anno agli arresti domiciliari o ai servizi sociali. 
In entrambi i casi, il Cav continuerà a guidare il proprio partito. Ma verso quale traguardo? Far cadere il governo Letta non gli servirà a nulla. Anzi lo danneggerà agli occhi dei tanti italiani soffocati dalla crisi e che non vogliono alcun salto nel buio. Le elezioni anticipate non ci saranno, perché il presidente della Repubblica non le vuole. Caduto il Letta 1 ci sarà un Letta 2. Con quale maggioranza? L’esperienza mi ha insegnato che, in epoche di crisi pericolose per il sistema, in Parlamento una maggioranza, magari piccola, la si trova sempre. 
Tra quattro mesi comincerà il semestre europeo a guida italiana. Quanti politici sono disposti a mandarlo a ramengo? E quanti parlamentari, anche del Pdl – Forza Italia, sono pronti a ficcarsi nella caverna buia di nuove elezioni? In Parlamento c’è una quantità di gente nuova che in febbraio si era convinta di aver agguantato un posto di lavoro insperato e della durata di cinque anni.
Neppure cento Berlusconi sarebbero in grado di farglielo gettare nel guardaroba dei cani. Pochi vorranno affrontare di nuovo gli elettori, per di più portandosi sulle spalle l’accusa di aver voluto la crisi. Anche ammesso che rimanga in vigore il Porcellum, su qualche piazza dovranno pur presentarsi. E tutti abbiamo imparato che bastano cinquanta contestatori infuriati per dar vita a un piccolo inferno. Dove volano insulti, calci, pietre e, speriamo di no, qualche colpo di rivoltella. 
Infine resta nell’aria l’incognita dell’esito elettorale. Se dobbiamo credere ai sondaggi, oggi il centrodestra sembra godere di un buon vantaggio sugli avversari. Ma tutti, a cominciare da Berlusconi, hanno imparato a diffidare delle intenzioni di voto. E non perché quanti vanno a sondarle siano dei dilettanti. 
Il motivo è un altro: l’Italia del 2013 è un territorio sconvolto dalla crisi e soggetto a scosse telluriche improvvise.  Tutte le sorprese sono possibili. Del resto, nelle elezioni di febbraio, Berlusconi e il suo centrodestra sembravano alla canna del gas. Invece la rimonta li ha portati a un’incollatura dal centrosinistra guidato dall’imprevidente Bersani. 
Adesso Bersani non conta più niente. Ma anche sotto la guida provvisoria di Epifani, il Partito democratico è sempre una banda di pazzi. Non pochi dei big vengono dal Partito comunista italiano. Ma hanno imparato poco dal loro insuperabile maestro: Palmiro Togliatti. 
Il Migliore era il campione mondiale del cinismo politico. Non appena sbarcato in Italia dall’Unione sovietica, era la fine del marzo 1944, si affrettò a fare un governo con quel vecchio arnese del maresciallo Badoglio, un militare che aveva servito a lungo il fascismo. E riconobbe persino la monarchia dei Savoia, purché al posto del vecchio Vittorio Emanuele III subentrasse come reggente il principe Umberto. 
Se Togliatti fosse ancora vivo, avrebbe già risolto la questione dell’agibilità di Berlusconi. Con qualche trigomiro gli salverebbe l’agibilità politica e il posto in Senato. I suoi eredi, compresi quelli allevati nella grande cuccia democristiana, fanno l’esatto contrario. Tutte le sere, su tutti i telegiornali, ci offrono un bla bla da mattoidi suicidi. Per loro l’unica soluzione possibile è l’espulsione del Berlusca dal Senato. Mostrano sempre pollice verso, da pupazzi che si credono imperatori.
I timori del Pd - I big democratici si comportano così perché temono l’ira della loro base militante ed elettorale, in gran parte giustizialista. Forse non si rendono conto di affogare in un paradosso stomachevole: quello di un gruppo dirigente che non è in grado di dirigere nulla. Fanno rimpiangere persino l’ingrigito Max D’Alema che, da premier del centrosinistra, nel marzo 1999 decise di partecipare alla guerra della Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic. 
Meritandosi gli sberleffi di Nichi Vendola che lo bollò cosi: «Grevemente atlantico, goffamente demagogico, cinicamente spoglio di dolore, con una spocchia da statista neofita». Si trovò messo alla berlina persino dall’Unità, il giornale che aveva diretto. Certe paginate a fumetti di Sergio Staino lo ritraevano come un politicante vanitoso che, nel brindare a champagne con Sofia Loren, diceva di stesso: «Il dramma dell’Italia è che possiede una sola, vera mente politica: la mia!».  
Se il centrodestra è alla frutta, il centrosinistra non sa decidersi neppure se mangiare le mele o le pere. Purtroppo non siamo a una mensa della Caritas. Le due bande si trovano di fronte a una nazione sempre più esasperata. Per questo è bene che stiano attente all’ira dei calmi. 
Non scherzare con il fuoco è la regola numero uno di qualsiasi politico decente. Vale per il Cavaliere e per il signor X che guiderà per davvero i democratici. Se volete morire, scavate pure la fossa per voi. Ma non per i poveri cristi che vi guardano sempre più in cagnesco.  

mercoledì 14 agosto 2013

Gli italiani non hanno fame


  • Corriere Del Veneto > 
  • «Assumo Ma Troviamo Solo Stranieri Perché? Gli Italiani Non Hanno Fame»

IL COLOSSO DI ORMELLE

«Assumo ma troviamo solo stranieri
Perché? Gli italiani non hanno fame»

Pagotto (Arredo Plast): i nostri ragazzi non accettano i tre turni. E’ il primo fornitore europeo di Ikea per la plastica: «Ho investito bene, ma oggi non lo rifarei qui in Italia»

TREVISO — «Uno che viene al colloquio di lavoro accompagnato dalla mamma, l’altro che, al telefono, ti risponde che è interessato ma non prima di tre mesi perché sta studiando per la patente. Ma si può?». Scuote la testa Giovanni Pagotto, fondatore e presidente di Arredo Plast Spa, holding di Ormelle da 230 milioni di fatturato, maggior fornitore di prodotti in plastica per l’Ikea. L’azienda cresce, lui assume ma inserire in organico personale italiano è una parola. Il 90% dei dipendenti del comparto produzione è straniero, i capiturno sono in larga misura extracomunitari. Chi sta alle macchine è impegnato su tre turni sette giorni su sette, e questo fa già storcere il naso ai locali. Quando invece si tratta di trovare un tecnico il problema diventa un altro. «Pochi giorni fa avevamo contattato un neolaureato in ingegneria aerospaziale, ci ha detto che sarebbe venuto se lo avessimo mandato all’estero. Gli ho risposto che volevo rifletterci due giorni ma quando l’ho richiamato per annunciargli che lo avrei inviato alla nostra sede canadese aveva già trovato un altro posto in Germania. Questi in Italia proprio non ci vogliono stare».
Eppure ci sono ingegneri che da lei hanno fatto carriera. La fabbrica di Motta che lavora solo per Ikea è diretta da uno di questi. «Si, però quando il ragazzo è arrivato lo abbiamo messo a "tirare bulloni", mica in ufficio. Ha fatto strada un po’ alla volta ».
E gli altri? Gli ambienti qui sono puliti, la paga è quella del contratto e i superminimi non mancano. Cosa c’è che non va? «C’è che gli italiani non hanno fame. A 16 anni andavo in bicicletta da Ormelle a Conegliano per lavorare alla Zanussi, a 27 ero responsabile di mille operai. Prova a dirgli a questi qua che una volta al mese devono lavorare il sabato o la domenica. Capisco che fare i turni è un sacrificio ma le macchine qui non possono fermarsi».
Gli stranieri sono più disponibili, insomma? «Mi tocca dire di si. Qui dentro ce n’è da ogni parte del mondo, uomini e donne».
Comunque sia, il suo gruppo cresce sempre da anni. Uno stabilimento dopo l’altro, lei ha messo su un impero. Ikea pesa solo per un quinto o poco più del suo business ma è un’ottima credenziale. Segno che non è vero che in Italia non si possa fare industria.«Nel 2000 ho venduto la Glass Idromassaggio di Oderzo ad un gruppo americano. Mi hanno dato una cifra notevole e l’ho investita tutta in questi capannoni. Il fatto è che dieci anni più tardi gli stessi capannoni li avrei messi all’estero».
Perché? «Devo fare l’elenco? Burocrazia, tasse, costo del lavoro e dell’energia. Ecco perché per rimanere competitivo, e per certi prodotti lo siamo più dei cinesi, le mie macchine estremamente automatizzate non devono fermarsi mai. A tre giorni da un ordine Ikea vuole i prodotti in ogni suo negozio d’Europa».
A parte Ikea, i vostri clienti chi sono? «Le vendite sono per l’85% all’estero. Negli Usa la nostra controllata canadese rifornisce Walmart, la più grande catena di vendita al dettaglio del mondo. Ma i nostri articoli in plastica si trovano un po’ dappertutto nella grande distribuzione».
I conti come sono, fatturato a parte? «L’Ebitda è vicino al 14,5%, quando c’è in giro qualcosa di interessante da rilevare cerchiamo di farlo, e finora sempre con mezzi nostri».
E qualcuno che vi chieda di diventare socio c’è? «Più di qualcuno, ma i fondi d’investimento ragionano in un modo che mi piace poco. Fino a poche settimane fa stavamo dialogando con uno americano, poi le trattative si sono fermate. All’inizio volevano una quota di minoranza, poi hanno cominciato a parlare di 51% e abbiamo chiuso il discorso ».
Contare su liquidità propria non può continuare all'infinito se volete allargarvi. Mai pensato alla borsa? «Si, ma non è ancora il momento. Adesso il valore del titolo non rispecchia mai quello reale. Ci vorranno almeno due o tre anni prima che una quotazione torni ad essere una scelta interessante».

lunedì 12 agosto 2013

Fiducia nella Giustizia, OK, Ma con giudici così ?

























Questo è l'articolo più difficile che mi sia capitato di scrivere in 40 anni di professione. Un amico magistrato, due avvocati, mia moglie e persino il giornalista Stefano Lorenzetto mi avevano caldamente dissuaso dal cimentarmi nell'impresa. Ma il cittadino italiano che, sia pure con crescente disagio, sopravvive in me, s'è ribellato: «Devi!». Dunque eseguo per scrupolo di coscienza.
cassazione esposito antonioCASSAZIONE ESPOSITO ANTONIO
In una nota diramata dal Quirinale dopo la condanna definitiva inflitta a Silvio Berlusconi, il capo dello Stato ci ha spiegato che «la strada maestra da seguire» è «quella della fiducia e del rispetto verso la magistratura». Ebbene, signor Presidente, qui devo dichiarare pubblicamente e motivatamente che fatico a nutrire questi due sentimenti - fiducia e rispetto - per uno dei giudici che hanno emesso il verdetto di terzo grado del processo Mediaset.
Lorenzetto con Luciano BenettonLORENZETTO CON LUCIANO BENETTON
Non un giudice qualunque, bensì Antonio Esposito, il presidente della seconda sezione della Corte suprema di Cassazione che ha letto la sentenza a beneficio delle telecamere convenute da ogni dove in quello che vorrei ostinarmi a chiamare Palazzo di Giustizia di Roma, e non, come fa la maggioranza degli italiani, Palazzaccio.
ANTONIO E VITALIANO ESPOSITOANTONIO E VITALIANO ESPOSITO
Vado giù piatto: ritengo che il giudice Esposito fosse la persona meno adatta a presiedere quell'illustre consesso e a sanzionare in via definitiva l'ex premier. Ho infatti serie ragioni per sospettare che non fosse animato da equanimità e serenità nei confronti dell'imputato. Di più: che nutrisse una forte antipatia per il medesimo, come del resto ipotizzato da vari giornali. Di più ancora: che il giudice Esposito sia venuto meno in almeno due situazioni, di cui sono stato involontario spettatore, ai doveri di correttezza, imparzialità, riserbo e prudenza impostigli dall'alto ufficio che ricopre.
Vengo al sodo. 2 marzo 2009, consegna del premio Fair play a Verona. L'avvocato Natale Callipari, presidente del Lions club Gallieno che lo patrocina, m'invita in veste di moderatore-intervistatore. È un'incombenza che mi capita tutti gli anni. In passato hanno ricevuto il riconoscimento Giulio Andreotti, Ferruccio de Bortoli, Pietro Mennea, Gianni Letta. Nel 2009 la scelta della giuria era caduta su Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione.
Nell'occasione l'ex giudice istruttore dei processi per l'assassinio di Aldo Moro e per l'attentato a Giovanni Paolo II giunse da Roma accompagnato da un carissimo amico: Antonio Esposito. Proprio lui, l'uomo del giorno. Col quale condivisi il compito di presentare un libro sul caso Moro, Doveva morire (Chiarelettere), che Imposimato aveva appena pubblicato.
ANTI BERLUSCONI DAVANTI ALLA CASSAZIONEANTI BERLUSCONI DAVANTI ALLA CASSAZIONE
Seguì un ricevimento all'hotel Due Torri. E qui accadde il fattaccio. Al tavolo d'onore ero seduto fra Imposimato ed Esposito. Presumo che quest'ultimo ignorasse per quale testata lavorassi, giacché nel bel mezzo del banchetto cominciò a malignare, con palese compiacimento, circa il contenuto di certe intercettazioni telefoniche riguardanti a suo dire il premier Berlusconi, sulle quali vari organi di stampa avevano ricamato all'epoca della vicenda D'Addario, salvo poi smentirsi.
Il presidente della seconda sezione penale della Cassazione dava segno di conoscerne a fondo il contenuto, come se le avesse ascoltate. Si soffermò sulle presunte e specialissime doti erotiche che due deputate del Pdl, delle quali fece nome e cognome, avrebbero dispiegato con l'allora presidente del Consiglio. A sentire l'eminente magistrato, nella registrazione il Cavaliere avrebbe persino assegnato un punteggio alle amanti. «E indovini chi delle due vince la gara?», mi chiese retoricamente Esposito. Siccome non potevo né volevo replicare, si diede da solo la risposta: «La (omissis), caro mio! Chi l'avrebbe mai detto?».
Stefano Lorenzetto e Vittorio FeltriSTEFANO LORENZETTO E VITTORIO FELTRI
Io e un altro commensale, che sedeva alla sinistra del giudice della Cassazione, ci guardavamo increduli, sbigottiti. Ho rintracciato questa persona per essere certo che la memoria non mi giocasse brutti scherzi. Trattasi di uno stimato funzionario dello Stato, collocato in pensione pochi giorni fa. Non solo mi ha confermato che ricordavo bene, ma era ancora nauseato da quello sconcertante episodio.
Per maggior sicurezza, ho interpellato un altro dei presenti a quella serata. Mi ha specificato che analoghe affermazioni su Berlusconi, reputato «un grande corruttore» e «il genio del male», le aveva udite dalla viva voce del giudice Esposito prima della consegna del premio.
Non era ancora finita. Sempre lì, al ristorante del Due Torri, il giudice Esposito mi rivelò quale sarebbe stato il verdetto definitivo che egli avrebbe pronunciato a carico della teleimbonitrice Vanna Marchi, la quale pareva stargli particolarmente sui didimi: «Colpevole» (traduco in forma elegante, perché il commento del magistrato suonava assai più colorito). Infatti, meno di 48 ore dopo, un lancio dell'Ansa annunciava da Roma: «Gli amuleti non hanno salvato Vanna Marchi dalla condanna definitiva a 9 anni e 6 mesi di reclusione emessa dalla seconda sezione penale della Cassazione».
PATRIZIA D'ADDARIOPATRIZIA D'ADDARIO
Incredibile: la Suprema Corte, recependo in pieno quanto confidatomi due giorni prima da Esposito, aveva accolto la tesi accusatoria del sostituto procuratore generale Antonello Mura, lo stesso che l'altrieri ha chiesto e ottenuto la condanna per Berlusconi. Ma si può rivelare a degli sconosciuti, durante un allegro convivio, quale sarà l'esito di un processo e, con esso, la sorte di un cittadino che dovrebbe essere definita, teoricamente, solo nel chiuso di una camera di consiglio?
VANNA MARCHI DURANTE IL PROCESSOVANNA MARCHI DURANTE IL PROCESSO
Capisco che tutto ciò, pur supportato da conferme testimoniali che sono pronto a esibire in qualsiasi sede, scritto oggi sul Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi possa lasciare perplessi. Ma, a parte che non mi pareva onesto influenzare i giudici della Suprema Corte alla vigilia dell'udienza, v'è da considerare un fatto dirimente: alcuni dettagli dell'avventura che m'è capitata a marzo del 2009 li avevo riferiti nel mio libro Visti da lontano (Marsilio), uscito nel settembre 2011, dunque in tempi non sospetti, considerato che la sentenza di primo grado a carico di Berlusconi è arrivata più di un anno dopo, il 26 ottobre 2012, ed è stata confermata dalla Corte d'appello l'8 maggio scorso. Senza contare che il collegio dei giudici di Cassazione che ha deliberato sul processo Mediaset è stato istituito con criteri casuali solo di recente.
ROSY BINDI PATRIZIA DADDARIOROSY BINDI PATRIZIA DADDARIOVanna MarchiVANNA MARCHI
A pagina 52 di ‘'Visti da lontano'', parlando di Imposimato (che non ha mai smentito le circostanze da me narrate), scrivevo: «Una sera andai a cena con lui dopo aver presentato un suo libro. Debbo riconoscere che sfoderò un'affabilità avvolgente, nonostante le critiche che gli avevo rivolto. Era accompagnato dal presidente di una sezione penale della Cassazione sommariamente abbigliato (cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera). Il quale, forse un po' brillo, mi anticipò lì a tavola, fra una portata e l'altra, quale sarebbe stato il verdetto del terzo grado di giudizio che poi effettivamente emise nei giorni seguenti a carico di una turlupinatrice di fama nazionale. Da rimanere trasecolati».
Allora concessi al mio occasionale interlocutore togato una misericordiosa attenuante: quella d'aver ecceduto con l'Amarone. Da giovedì sera mi sono invece convinto che, mentre a cena sproloquiava su Silvio Berlusconi e Vanna Marchi, era assolutamente lucido nei suoi propositi. Fin troppo.
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VITALIANO ESPOSITO E SILVIO BERLUSCONIVITALIANO ESPOSITO E SILVIO BERLUSCONIGIORGIO NAPOLITANO E VITALIANO ESPOSITOGIORGIO NAPOLITANO E VITALIANO ESPOSITO
2. HARA-KIRI! A POCHE ORE DALLA SENTENZA IL PDL HA LICENZIATO IL FRATELLO DI ESPOSITO
Franco Bechis per Liberoquotidiano

Mezz’ora prima che Antonio Esposito riunisse in Camera di Consiglio la sezione feriale della Corte di Cassazione che avrebbe reso definitiva la condanna di Silvio Berlusconi, il Pdl al Senato votava il licenziamento in tronco di Vitaliano Esposito, fratello del magistrato che aveva nelle sue mani il destino del Cavaliere. L’incredibile scelta è stata svelata sul numero di Panorama in edicola oggi dal collaboratore Keyser Soze (uno pseudonimo) per commentare l’incredibile vocazione all’hara-kiri che contrassegna il centrodestra italiano, sempre pronto a fare la cosa sbagliata al momento sbagliato.
LAMBASCIATORE DE LA SABLIERE CON ANTONIO E VITALIANO ESPOSITOLAMBASCIATORE DE LA SABLIERE CON ANTONIO E VITALIANO ESPOSITO

vitaliano espositoVITALIANO ESPOSITO
Vitaliano Esposito, fratello di Antonio ed ex procuratore generale della Corte di Cassazione, è stato nominato il 15 gennaio scorso dal premier Mario Monti e dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini, “garante dell’esecuzione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto”. Un incarico prestigioso- fondamentale per tranquillizzare la popolazione dell’area- e anche discretamente retribuito, visto che la legge stanziava per lui fino a un massimo di 200 mila euro l’anno.
ANTONIO E VITALIANO ESPOSITO CON ROBERTO CAMPISIANTONIO E VITALIANO ESPOSITO CON ROBERTO CAMPISI


Nessuno però nel partito del Cavaliere si è accorto di quanto stava avvenendo, e nemmeno nelle fila dell’esecutivo c’è stato qualcuno a cui è venuto il dubbio sull’opportunità di fare uno sgarbo di questo tipo alla famiglia Esposito. Così non solo l’hanno fatto, ma hanno difeso la bontà di quel licenziamento con i denti e con le unghie fino alle ore 11 e 55 del primo agosto, quando con il voto finale al decreto Pd ,Pdl e governo Letta l’hanno reso immediamente esecutivo.

Eppure proprio nelle ultime ore c’è stata l’occasione per evitare il clamoroso sgarbo familiare al magistrato che stava decidendo il destino di Berlusconi. La ciambella di salvataggio è stata lanciata da Loredana De Petris (Sel) e da Paola Nugnes (M5s): entrambe hanno presentato un emendamento (quello di Sel firmato anche da Dario Stefano, presidente della giunta immunità del Senato) per fare rivivere il garante e conservate lavoro e 200 mila euro l’anno a Vitaliano Esposito.

ANTONIO E VITALIANO ESPOSITOANTONIO E VITALIANO ESPOSITO
Niente da fare: i due relatori, Salvatore Tomaselli (Pd) e Francesco Bruni (Pdl) hanno bocciato l’idea: il fratello del giudice andava licenziato senza se e senza ma. Ultimo tentativo per non mettere ulteriormente nei guai Berlusconi in Cassazione l’hanno fatto in extremis ancora i senatori di Nichi Vendola: un ordine del giorno per impegnare il governo a riassumere subito dopo averlo licenziato il povero Vitaliano Esposito, di cui si apprezzava il gran lavoro fatto. Ma a dire no a questo impegno teorico che avrebbe potuto distendere gli animi è stato questa volta il governo Letta. Lavoro da kamikaze compiuto.


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“LIBERO” E “GIORNALE” CONDANNANO IL GIUDICE ESPOSITO, “IL FATTO” LO DIFENDE DALLA “MACCHINA DEL FANGO” E LO INTERVISTA: “MAI DETTO ‘BERLUSCONI GENIO DEL MALE’. 

Lorenzetto sostiene che il magistrato di Cassazione avrebbe sparlato di B.? “Tutte falsità, mai saputo di intercettazioni sulla vita privata dell’ex premier. Vi pare che avrei detto quelle frasi davanti a 500 persone?” - “Mio fratello licenziato dall’Ilva? Querelo chi dice che le mie sentenze sono vendette”…

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IL  FATTO  QUOTIDIANO

Giornale e Libero gettano fango sul presidente

Esposito

Il giudice che ha condannato il Cavaliere è dipinto come un ubriacone prevenuto, scorretto e vendicativo, con "cravatta impataccata e camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera". Ma lui replica: "Ne risponderanno in sede giudiziaria"






Il “trattamento Mesiano” tocca questa volta ad Antonio Esposito. Poca cosa, i calzini azzurri che erano stati rimproverati al giudice del Tribunale di Milano Raimondo Mesiano, autore della sentenza civile che obbligherà Silvio Berlusconi a pagare un risarcimento milionario per aver scippato laMondadori. Contro Esposito, il presidente della sezione feriale della Cassazione che ha confermato la sentenza Mediaset, si fa ben di più: gli sono addebitate “cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera”.
E di peggio: il Giornale strilla in prima pagina “Le cene allegre di Esposito. Così infangava Berlusconi il giudice che l’ha condannato”. È il giornalista Stefano Lorenzetto ad allineare le presunte scorrettezze del magistrato, raccontando una serata di quattro anni fa, del marzo 2009, in occasione della consegna di un premio all’ex magistrato Ferdinando Imposimato da parte del Lions club di Verona.
Il giudice Esposito non intende replicare “se non nelle sedi competenti” a quelle che ritiene calunnie e falsità. Accetta però di spiegare che cosa non quadra nella ricostruzione del Giornale. “Intanto le sbandierate (in prima pagina) ‘cene allegre’ si sono risolte in un’unica cena dopo la premiazione. Quanto all’abbigliamento, basta guardare le numerose foto scattate quel giorno e controllare le riprese televisive per constatare che era impeccabile, del tutto conforme al rilievo della manifestazione pubblica a cui stavo partecipando. Una cosa comunque è certa: io in vita mia non ho mai posseduto, né calzato (e dico mai senza tema di smentita) scarpe da jogging, attività che non ho mai praticato”.
Ma Esposito, secondo il racconto di Lorenzetto, “nel bel mezzo del banchetto cominciò a malignare, con palese compiacimento, circa il contenuto di certe intercettazioni telefoniche riguardanti a suo dire il premier Berlusconi… Si soffermò sulle presunte e specialissime doti erotiche che due deputate del Pdl, delle quali fece nome e cognome, avrebbero dispiegato con l’allora presidente del Consiglio”.
“È falso”, risponde il magistrato. “Quelle affermazioni non sono state fatte, né potevano essere fatte, perché io non ho mai avuto conoscenza dell’esistenza – se mai sono esistite – di intercettazioni che riguardano la vita privata dell’onorevole Berlusconi. È un’affermazione gravissima, poiché il giornalista mi accusa di essere illecitamente a conoscenza di presunte conversazioni coperte da segreto, delle quali io invece ignoravo e tuttora ignoro l’esistenza”. Il cuore delle “rivelazioni” delGiornale è che Esposito avrebbe anticipato, durante quella cena, il giudizio che 48 ore dopo avrebbe espresso in Cassazione nei confronti di Wanna Marchi. Lorenzetto estrae dal cilindro un suo libro del 2011 in cui aveva già raccontato l’episodio, pur senza fare il nome del magistrato.
“Nella mia lunga carriera non ho mai anticipato un giudizio. Questo si forma”, spiega Esposito, “sempre e solo al termine dell’udienza, dopo il contraddittorio tra le parti. Ma anticiparlo è ancor più impensabile in Cassazione, ove la decisione viene presa, liberamente e autonomamente, da cinquemagistrati. La verità è ben diversa: quella sera, all’invito dell’organizzatore a rimanere ancora un giorno a Verona, io risposi che avevo urgenza di ritornare a Roma perché dovevo trattare un processo abbastanza impegnativo di truffa nel quale era coinvolta Wanna Marchi, notizia ampiamente già pubblicizzata dalla stampa. Tutto qui, senza alcun impossibile anticipo di decisione”.
E poi: se Lorenzetto è “trasecolato” per l’accenno a Wanna Marchi, come mai non è “trasecolato” per i ben più gravi (e giornalisticamente ancor più appetitosi) accenni a Berlusconi e alle sue deputate, di cui invece non parla nel suo libro? Lorenzetto concede comunque al giudice una “misericordiosa attenuante”: “Forse era un po’ brillo”, aveva “ecceduto con l’Amarone”. “Ma il giornalista non poteva non notare che io non ero un ‘po’ brillo’ perché sono, da una vita, completamente astemio. Non c’è persona al mondo che possa testimoniare di avermi mai visto bere vino o altre bevande alcoliche”.
C’è di peggio: Lorenzetto racconta che il giudice, prima della consegna del premio, secondo un testimone avrebbe fatto affermazioni pesanti su Berlusconi, reputato “un grande corruttore” e “il genio del male”. “Dice anche che io mi sarei lasciato andare perché non ero a conoscenza per quale testata lavorasse: invece lo sapevo bene, sia perché avevo più volte letto articoli a sua firma, sia perché gli organizzatori ci avevano segnalato chi fosse il moderatore della serata, come si usa in questi casi. Quelle parole non le ho mai dette: ma le pare che avrei potuto pronunciare giudizi di quel tipo, mentre ero al tavolo ove si presentava un libro e si consegnava un premio, innanzi a oltre 500 persone?”.
Un altro quotidiano, Libero, riempie una pagina, firmata da Franco Bechis, per spiegare che la sentenza di Antonio Esposito è arrivata poche ore dopo che il Pdl aveva votato in Senato il “licenziamento in tronco” di suo fratello Vitaliano, a cui è stato tolto “un posto da 200mila euro all’anno come garante dell’Ilva”. “Non ho seguito né seguo le vicende di mio fratello all’Ilva”, replica il presidente, “certo che se c’è chi dice che una mia sentenza è una vendetta contro qualcuno, dovrà risponderne nelle competenti sedi giudiziarie”.
da Il Fatto Quotidiano del 4 agosto 2013


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ESPOSITO SPROLOQUIAVA CONTRO B., 


POSSONO TESTIMONIARLO GLI ALTRI


COMMENSALI”.

Stefano Lorenzetto per "Il Giornale"



Stefano LorenzettoSTEFANO LORENZETTO
Per dovere di coscienza, sabato scorso ho rivelato sul Giornale due fatti di cui sono stato diretto testimone il 2 marzo 2009 a Verona, durante un ricevimento all'hotel Due Torri:
1) il giudice Antonio Esposito, presidente della seconda sezione penale della Corte suprema di Cassazione che ha confermato la condanna definitiva a carico di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, mi parlò malissimo dell'ex premier, soffermandosi sul contenuto pecoreccio di presunte intercettazioni telefoniche nelle quali il Cavaliere avrebbe assegnato un punteggio alle prestazioni erotiche di due deputate del Pdl sue amanti;
Stefano LorenzettoSTEFANO LORENZETTO
2) lo stesso dottor Esposito mi anticipò lì a cena, fra una portata e l'altra, quale sarebbe stato il verdetto di colpevolezza che avrebbe emesso contro Vanna Marchi, puntualmente confermato meno di 48 ore dopo dall'agenzia Ansa. Ho anche precisato che quest'ultimo episodio l'avevo già riportato a pagina 52 del mio libro Visti da lontano, edito da Marsilio nel settembre 2011, dunque in tempi non sospetti, quando ancora nessuno poteva sapere che il giudice Esposito sarebbe stato chiamato a occuparsi del processo Mediaset.
cassazione esposito antonioCASSAZIONE ESPOSITO ANTONIO
Anziché chiedersi se queste due notizie fossero vere oppure no, per 24 ore sono rimasti tutti zitti. Non un fax di smentita dall'interessato o dal suo legale. Non una nota dalla Cassazione. Non una dichiarazione di solidarietà al collega Esposito da parte dell'Associazione nazionale magistrati. Non un lancio dell'Ansa. Non un sottopancia scorrevole su Sky Tg24. Non un cenno nei siti dei principali quotidiani. Un fragoroso, sepolcrale silenzio. Interrotto alle 19.23 di sabato solo dalla home page di Dagospia.
FERDINANDO IMPOSIMATOFERDINANDO IMPOSIMATO
Ieri, finalmente, il giudice Esposito ha affidato la sua replica al Fatto quotidiano, anziché al ben più diffuso Corriere della Sera. Scelta oculata: meglio non allargare troppo la frittata. Al posto suo, confesso che avrei fatto lo stesso, se non altro perché il giorno precedente quell'organo di stampa aveva tessuto le lodi della «Corte impermeabile del giudice Esposito» (titolo a pagina 6) e Gianni Barbacetto aveva definito il presidente della seconda sezione penale «un amante degli scacchi» e gli altri quattro componenti del collegio «moderati, moderatissimi, mai schierati politicamente e lontani dalle correnti della magistratura associata».
VIDEO MESSAGGIO DI BERLUSCONI DOPO LA CONDANNA DELLA CASSAZIONEVIDEO MESSAGGIO DI BERLUSCONI DOPO LA CONDANNA DELLA CASSAZIONE
Il titolo di prima pagina del Fatto recitava: «Ora manganellano il giudice Esposito». Occhiello esplicativo preceduto dalla testatina «Fango»: «"Metodo Mesiano" contro il presidente della Cassazione». All'interno, si precisava che l'alto magistrato «non intende replicare "se non nelle sedi competenti" a quelle che ritiene calunnie e falsità». Subito dopo, però, con l'autore del pezzo Barbacetto, lo stesso che l'aveva asfissiato d'incenso il giorno prima, «accetta di spiegare che cosa non quadra nella ricostruzione del Giornale». Vediamo.
CENE ALLEGRE. «Intanto le sbandierate (in prima pagina) "cene allegre" si sono risolte in un'unica cena dopo la premiazione». Ho appunto raccontato di un'unica cena svoltasi nel ristorante dell'hotel Due Torri, seguita alla consegna del premio Fair play del Lions club al suo amico Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione, che poco prima avevamo presentato insieme al pubblico in tutt'altra sede. Al banchetto il mio posto era fra i due, Imposimato ed Esposito.
VITTORIO FELTRIVITTORIO FELTRI
Alla sinistra di quest'ultimo sedeva uno stimato funzionario dello Stato, che ha udito come me le esternazioni del giudice della Cassazione e che sarà chiamato a confermarle «nelle sedi competenti» care a entrambi (a Esposito e a me). Quanto all'occhiello di prima pagina declinato al plurale, non l'ho fatto io. E siccome «è il giornalista Stefano Lorenzetto ad allineare le presunte scorrettezze del magistrato», scrive Barbacetto, vorrei che si parlasse solo di quelle.
barbacettoBARBACETTO
ABBIGLIAMENTO. Ho scritto nel 2011 in Visti da lontano, mai smentito, che il magistrato da me conosciuto era «sommariamente abbigliato (cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera)». Esposito nega: «Quanto all'abbigliamento, basta guardare le numerose foto scattate quel giorno e controllare le riprese televisive per constatare che era impeccabile». Le uniche riprese televisive esistenti le ho controllate tutte, fotogramma per fotogramma: non possono certo documentare in modo così ravvicinato i particolari da me elencati.
Ma si dà il caso che io lavori sui dettagli da 40 anni, da quando faccio questo mestiere. Sono un maniaco dei dettagli, come sa chiunque mi legga (ed Esposito confessa d'avermi letto spesso). Ci mantengo la famiglia, con i dettagli. Ebbene: le riprese non possono certo mostrare i piedi del giudice, nascosti dal banco dei relatori. Però prima della cerimonia io e lui siamo stati anche seduti per una buona mezz'ora nell'atrio della sala convegni di Unicredit, mentre il suo amico Imposimato rilasciava interviste e firmava autografi.
Eravamo sprofondati a gambe accavallate in due poltrone, a conversare amabilmente. E, nonostante lui affermi che «una cosa è comunque certa: io in vita mia non ho mai posseduto, né calzato (e dico mai senza tema di smentita) scarpe da jogging, attività che non ho mai praticato», riconfermo che a sfiorare le mie ginocchia erano le sue scarpe sportive, da jogging, da tennis, da running, le chiami come vuole. E aggiungo un altro dettaglio: bianche. Sì, bianche. Ma non lo aggiungo solo io: quelle scarpe se le ricordano anche Francesco Giovannucci, già prefetto di Verona, e sua moglie Enrica, che quella sera erano seduti in prima fila. Al loro occhio - allenato dalla lunghissima consuetudine con le regole del cerimoniale - la stravagante tenuta non poteva passare inosservata.
Le foto le sto cercando. Non è impresa facile, con i colleghi in ferie o che hanno smarrito una parte del loro archivio (è il caso di Giorgio Marchiori, fotoreporter del quotidiano locale L'Arena). E poi di solito i giornali prediligono le immagini a mezzobusto. Solo i feticisti scattano foto ai piedi. Mi fa specie che un magistrato di Cassazione cerchi di svicolare adducendo come prova decisiva della mia inattendibilità un paio di scarpe. Non è di questo che si sta trattando. Io, comunque, non mi sono mai occupato del colore azzurro dei calzini del suo collega Francesco Mesiano (lo dico ai titolisti del Fatto). Quindi non tentate d'impiccarmi a un paio di scarpe. Con me cascate male: sono figlio di calzolaio.
INTERCETTAZIONI. Esposito nega d'aver detto quello che invece ha detto su Berlusconi. Vuole forse costringermi a pubblicare il testo stenografico delle telefonate che ho avuto con due illustri testimoni presenti a quella cena? Lo avverto: potrebbe restarci di sale. Sappia solo che il 24 luglio scorso ho interpellato il funzionario dello Stato che quella sera sedeva alla sua sinistra. A costui ho chiesto se si ricordasse: a) della cena; b) delle intercettazioni svelate da Esposito con la «pagella» sulle capacità erotiche delle due deputate del Pdl stilata da Berlusconi; c) della sentenza su Vanna Marchi che il giudice ci anticipò durante il banchetto.
Nonostante siano passati quasi quattro anni, mi ha risposto per tre volte: «Sì che mi ricordo!». Dopodiché gli ho anche chiesto se sapesse chi fosse quel magistrato. Risposta: «Non lo so, io, me lo sono trovato lì...». Quando gli ho spiegato che si trattava del giudice che di lì a pochi giorni avrebbe deciso il destino di Berlusconi, ha esclamato, sbigottito: «Ma va' lààà! Ma va' lààà! Dìmene altre!». Che in dialetto veronese sta per «dimmene altre», cioè non posso crederci.
AMARONE. Il Fatto ricorda che «Lorenzetto comunque concede al giudice una "misericordiosa attenuante": "Forse era un po' brillo", aveva "ecceduto con l'Amarone"». E che altro avrei dovuto pensare all'udire gli sconcertanti pettegolezzi di un eminente magistrato della Repubblica? «Ma il giornalista non poteva non notare che io non ero "un po' brillo" perché sono, da una vita, completamente astemio. Non c'è persona al mondo che possa testimoniare di avermi visto bere vino o altre bevande», afferma il magistrato.
Mi perdoni, dottor Esposito, questo è un clamoroso autogol: ci sta dicendo che lei era sobrio mentre malignava su Berlusconi, s'intratteneva su intercettazioni coperte da segreto istruttorio e anticipava una sentenza su Vanna Marchi che avrebbe dovuto formarsi nel chiuso di una camera di consiglio e non a tavola.
Voglia rammentare che l'«attenuante misericordiosa» gliela concessi in forma dubitativa nel libro: sabato scorso gliel'ho revocata, scrivendo che «da giovedì sera mi sono invece convinto che, mentre a cena sproloquiava su Silvio Berlusconi e Vanna Marchi, era assolutamente lucido nei suoi propositi. Fin troppo».
GENIO DEL MALE. «C'è di peggio: Lorenzetto racconta che il giudice, prima della consegna del premio, secondo un testimone avrebbe fatto affermazioni pesanti su Berlusconi, reputato "un grande corruttore" e "il genio del male"». Si difende Esposito: «Quelle parole non le ho mai dette: ma le pare che avrei potuto pronunciare giudizi di quel tipo, mentre ero al tavolo ove si presentava un libro e si consegnava un premio, innanzi a 500 persone?».
E chi ha mai scritto che le ha pronunciate davanti a 500 persone? Lei le ha profferite in varie occasioni davanti a uno stimato professionista, un testimone presente a quella serata, che me le ha confermate più e più volte, anche di recente, in una registrazione piuttosto lunga: dura 29 minuti e 30 secondi. Ed è un testimone degno di fede.
CHI SONO. Riferendosi a me, Esposito spiega al Fatto: «Dice anche che io mi sarei lasciato andare perché non ero a conoscenza per quale testata lavorasse: invece lo sapevo, sia perché avevo letto più volte articoli a sua firma, sia perché gli organizzatori ci avevano segnalato il moderatore della serata». A parte che io mi sono limitato a formulare una mera ipotesi («Presumo che ignorasse per quale testata lavorassi»), mi rallegra, dottor Esposito, annoverarla fra i miei lettori. Ma pure qui si sta facendo del male da solo: la circostanza di conoscermi e di sapere per quale testata lavorassi avrebbe dovuto indurla a raddoppiare la prudenza e il riserbo che le sono imposti dall'alto ufficio affidatole.
A questo punto vorrei dirle poche cose sul mio conto. Mi sono dimesso dalla vicedirezione vicaria del Giornale nel 1998, rinunciando ai cinque sesti dello stipendio. Da allora vado in cerca di italiani qualunque. Ne ho intervistati finora 660. Da parecchio tempo non mi occupo né di politica né di giustizia. Non aspiro a dirigere Il Giornale, né Panorama (l'altro mio datore di lavoro, dove sono attualmente cassintegrato), né il Tg5, né null'altro.
Faccio il giornalista col massimo scrupolo, come sono certo faccia lei, dottor Esposito, nella sua delicata professione, e ciò mi ha guadagnato la stima di varie personalità, fra cui l'attuale presidente del Consiglio, Enrico Letta, Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Ferruccio de Bortoli, Giovanni Minoli, Vittorio Messori, Aldo Busi e Marina Orlandi, vedova del professor Marco Biagi assassinato dalle Nuove Br. E persino di Marco Travaglio, vicedirettore del Fatto quotidiano.
CONCLUSIONE. A me pare che il thema decidendum non sia il paio di scarpe sportive che lei indossava, bensì il fatto (non quotidiano) che il presidente di una sezione penale della Corte suprema di Cassazione fosse talmente prevenuto in senso sfavorevole a un imputato da dovergli consigliare di astenersi. Io so d'aver detto tutta la verità, nient'altro che la verità, giudice Esposito. Le confesso che temo molto il suo giudizio e quello che ne deriverà nelle aule a ciò preposte. Ma temo molto di più il verdetto di un Giudice che sta sopra di lei e sopra di me. Quello sì definitivo.

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TE LA DO IO LA MACCHINA DEL FANGO! -


FELTRI FA IL CONTROPELO ALLA


“REPUBBLICA” DELLE TOGHE:


“NON HANNO NEANCHE ACCERTATO 


SE LE NOTIZIE DEL “GIORNALE” SU ESPOSITO


FOSSERO VERE O NO”-

 



Vittorio Feltri per "il Giornale"
La Repubblica, per definizione moralmente e culturalmente superiore a (quasi) tutti gli altri giornali, anche ieri si è distinta con un'operazione che lascia sbigottiti, volendo usare una espressione gentile. Ecco l'antefatto. Sabato, Il Giornale aveva pubblicato un servizio in cui si raccontava, sulla base di testimonianze, che il presidente della Cassazione, Antonio Esposito, alcuni anni orsono partecipò, in occasione della consegna di un premio, a una cena organizzata da un Lions di Verona.
VITTORIO FELTRIVITTORIO FELTRI
Nella circostanza egli si sarebbe lasciato andare a considerazioni negative su Silvio Berlusconi (arricchito da gossip circa le sue performance sessuali) e avrebbe annunciato a due commensali (con un paio di giorni d'anticipo) la sentenza di condanna che avrebbe emesso contro Vanna Marchi.
L'articolo, firmato da Stefano Lorenzetto, già vicedirettore vicario del Giornale a metà degli anni Novanta, forniva vari altri particolari che inquadravano la vicenda in modo tale da renderla assai interessante. Tra l'altro Lorenzetto è unanimemente considerato un giornalista serio e molto scrupoloso, distante anni luce dagli ambienti frequentati dai berlusconiani, cosicché il direttore di questa testata non ha esitato a ospitarne il pezzo con l'evidenza che meritava, data la sua attualità.
Stefano LorenzettoSTEFANO LORENZETTO
Si dà infatti il caso che Esposito sia il giudice che ha recentemente letto in aula il verdetto che inchioda il fondatore del Pdl. Un dettaglio rilevante. Davanti alle rivelazioni da noi pubblicate, come ha reagito La Repubblica?
Si è guardata bene dall'accertare se le notizie fossero o no esatte, magari telefonando all'autore oppure interpellando lo stesso magistrato, ma ha caricato il fucile a pallettoni e ha sparato sul Giornale, dando per scontato che quanto da esso riportato fosse una colossale bufala. Peggio, cavalcando un luogo comune scaduto e desemantizzato, ha accusato la redazione di aver rimesso in moto la cosiddetta «macchina del fango» diretta dallo stesso Berlusconi.
CARLO DE BENEDETTICARLO DE BENEDETTI
La cronista del quotidiano debenedettiano, Liana Milella, per sostenere la propria tesi cita alcuni precedenti che a suo dire dimostrerebbero la nostra vocazione a inventare e/o ingigantire episodi marginali allo scopo di diffamare presunti avversari politici.
Per esempio, i calzini color turchese esibiti dal giudice Francesco Mesiano (sentenza Mondadori) in un servizio televisivo di Canale 5 - e non del Giornale (si limitò a riprenderlo) - che costò a Claudio Brachino, responsabile di averlo mandato in onda, due mesi di sospensione dall'Ordine professionale; le dimissioni di Dino Boffo da direttore dell' Avvenire causate dal Giornale, allora diretto da me (fui punito con tre mesi di sospensione); la foto di Ilda Boccassini (ritratta mentre getta a terra un mozzicone di sigaretta), apparsa sulla rivista Chi e non commissionata da noi; infine, le critiche ad Alessandra Galli, magistrato che si occupò di altro processo al Cavaliere.
LIANA MILELLALIANA MILELLA
Il gioco di Liana Milella è scoperto: poiché Il Giornale è di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio, tutto ciò che mette in pagina è finalizzato a compiacere la «sacra famiglia». Come se noi dubitassimo della veridicità degli articoli della Repubblica solo perché l'editore si chiama Carlo De Benedetti. Ragionamento puerile che, se esteso ai libri, gran parte dei quali editi da Mondadori, costringerebbe a concludere che gli autori dei medesimi (in maggioranza di sinistra) sono domestici di Villa San Martino. Un'idiozia.
L'articolo di Lorenzetto, come tutto ciò che si stampa, può essere sì contestato ma solo dopo averne verificato l'eventuale infondatezza. Il che la signora Milella non si è neanche sognata di fare, forte della convinzione che le toghe abbiano sempre ragione, a prescindere, e che i giornalisti, tranne gli amici suoi, abbiano sempre torto.
Un metodo di lavoro inaccettabile e affine a quello della «macchina del fango», che nella fattispecie non è il nostro ma sottolineiamo - il suo. Quanto a Lorenzetto, posto che anche lui non è infallibile benché non risulti che sia mai caduto in errore, non è lecito dire fino a prova contraria che abbia sbagliato. La Repubblica questa prova decisiva non solo non l'ha fornita, ma neppure cercata.
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 In un'intervista esclusiva al quotidiano il Mattino di Napoli, spiega che in questo caso non è possibile sostenere che «non poteva non sapere». Al contrario, la condanna è arrivata «perché sapeva», era stato informato del reato. Tuttavia, in mattinata, una nota del giudice rettifica parzialmente quanto riportato. Esposito smentisce in particolare «di aver pronunziato, nel colloquio avuto con il cronista - rigorosamente circoscritto a temi generali e mai attinenti alla sentenza, debitamente documentato e trascritto dallo stesso cronista e da me approvato - le espressioni riportate virgolettate: "Berlusconi condannato perchè sapeva non perchè non poteva non sapere"».
IL DIRETTORE DEL MATTINO CONFERMA - Alessandro Barbano, direttore del Mattino, intervistato da Radio1 'conferma però quanto scritto: «Posso assicurare a voi e ai miei lettori che l'intervista è letterale, cioè sono stati riportati integralmente il testo, le parole e le frasi pronunciate dal presidente di cui ovviamente abbiamo prova».
Il coordinatore del Pdl Sandro Bondi si chiede se «è normale che il giudice Esposito entri nel merito della sentenza della Cassazione con un'intervista rilasciata a un quotidiano nazionale? È questo il nuovo stile dei giudici della Cassazione?
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Luca d'Alessandro, segretario della commissione Giustizia della Camera del Pdl invoca un'azione disciplinare nei confronti della toga partenopea: «Al di là dei contenuti, risibili e assai discutibili, l'intervista dell'ineffabile presidente della sezione feriale della Cassazione, Antonio Esposito, è gravissima. I magistrati, e ancor più i giudici, dovrebbero parlare solo con le sentenze (anche quando ci si vergogna di esse) e questo principio dovrebbe valere oggi più che mai, per non alimentare tensioni

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OK, Napulità: fiducia nella Giustizia; ma davvero ha la "G" maiuscola, cù 'sti Espositi accà?
Vittorio Quaraquaquà InFeltrito
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Gli Ermellini: che delusione!

Ero abituato a pensare che i Presidenti della Suprema Corte di Cassazione, quelli che sulla toga indossano l'ermellino (anche se, in realtà, si tratta di pelle di gatto o di coniglio maculata), quelli che vengono chiamati col titolo di "eccellenza" (anche se è stato da tempo abolito), fossero adusi a parlare con toni aulici, in un italiano forbito e privo di inflessioni dialettali, costellato di citazioni dotte e frasi latine. E invece? E invece, dopo aver ascoltato l'intervista di Sua Eccellenza Esposito al Mattino, che delusione! Mi è crollato addosso tutto un mondo. Un marcato accento napoletano, espressioni dialettali: "chillu llà, chistu ccà, ngoppa qua, abbascio llà". Mi è sembrato di sentire un ambulante dei "quartieri spagnoli". E, subito dopo, la delusione, una riflessione. Se i Supremi Giudici sono così ingenui ed avventati da anticipare in un'intervista le motivazioni di una sentenza che devono essere ancora scritte, se non hanno il coraggio di assumersi la responsabilità delle loro affermazioni dichiarando il falso quando smentiscono di averle rese (ma la registrazione audio l'abbiamo ascoltata tutti e non si presta ad equivoci), come si fa a continuare ad avere fiducia nella Giustizia?
Giannico Rossini
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(Adnkronos) - ''L'intervista di Antonio Manzo al presidente della Cassazione feriale Antonio Esposito pubblicata ieri dal Mattino trascrive in modo integrale il contenuto delle sue dichiarazioni, nella forma letterale e logico-sintattica con cui sono state pronunciate. Senza alcuna aggiunta interpretativa''. Cosi' il direttore del Mattino, Alessandro Barbano, questa mattina sul quotidiano in un intervento indirizzato ''ai lettori'' e intitolato ''Verita' amara e dovere di raccontarla''.
cassazione esposito antonioCASSAZIONE ESPOSITO ANTONIO
''Per uno spirito di sobrieta' abbiamo atteso prima di pubblicare l'audio'', aggiunge Barbano, spiegando che la decisione e' stata presa dopo il comunicato in cui Esposito ''sosteneva che il testo e' stata oggetto di una 'gravissima manipolazione'''.
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Registrazione delle dichiarazioni del "giudice" Esposito:
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-tra-un-chist-na-stupotaggine-un-vabbu-chill-nun-poteva-nun-zapere-e-60857.htm


''Noi non andremo a dire 'quello non poteva non sapere', potremmo dire, nella motivazione, eventualmente, 'tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva'. E non che non potevi non sapere perche eri il capo, perche' pure il capo potrebbe non sapere, o no? E' sempre una valutazione in fatto - chiarisce ancora Esposito - Tu non potevi non sapere perche' Tizio, Caio e Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito, scusa. Allora e' un po' diverso''.

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5. BERLUSCONI: ESPOSITO (PDL), GIUDICE COME SCHETTINO
(AGI) 
- "La telefonata del giudice Esposito ricorda la drammatica intercettazione del capitano Schettino. Malafede, bugie e incompetenza simili. E il Paese va a sbattere per vergognosa incapacita'. Noi meridionali con queste persone ai posti comando non ci facciamo di certo una gran figura". Lo ha scritto su twitter il vicepresidente dei senatori del Pdl, Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir.


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La rete di affari di Esposito: ecco perché fu trasferito

Il Csm lo spostò: "Con la sua scuola guadagna centinaia di milioni che gli  permettono di avere una Jaguar, una villa a Roma e un motoscafo". Nelle carte i favori ricevuti. E spuntano una Mercedes gratis e le cene a sbafo


Tutta colpa di una scuola e di affari milionari. A far traslocare da Sala Consilina Antonio Esposito, dopo un quarto di secolo nel quale il magistrato era rimasto affezionatissimo a questa piccola perla del Tirreno, è stato il plenum del Csm, il 7 aprile del 1994.
In poco meno di cinque ore, l'organo di autogoverno della magistratura votò a maggioranza la proposta di trasferimento per incompatibilità ambientale.
Le 32 pagine di verbale di quella seduta raccontano il dibattito serrato dei consiglieri che dovevano decidere del suo futuro. Forse con una certa apprensione, visto che in apertura venne ricordata l'ispezione ministeriale condotta da Vincenzo Maimone, con lo 007 portato in tribunale da Esposito e «prima condannato per calunnia e poi assolto in appello», a maggio del 1992, perché il fatto non costituiva reato. Così il consigliere togato Gianfranco Viglietta rilevò «come il dottor Esposito si rivolga in modo pesantemente critico nei confronti di tutti coloro i quali esprimano riserve sul suo operato», osservando che «ciò è certamente indice di non particolare equilibrio». Una sindrome del complotto, insomma. Che toccava anche uno dei presenti nel plenum, Alfonso Amatucci, il quale infatti mise a verbale di essere «a giudizio di Esposito (...) una sorta di “quinta colonna” di quel complotto presso il Csm». Ruolo che Amatucci, va da sé, negò con forza. Spiegando di aver appreso frequentando Sapri dei «molti giudizi negativi» sul giudice, ai quali non aveva dato peso. A far cambiare approccio ad Amatucci era stato un primo episodio «significativo», quando «dopo aver cenato in un ristorante», a Sapri, il consigliere «ricevette i complimenti del ristoratore per il fatto che egli, a differenza di altri magistrati del luogo, era intenzionato a pagare il conto». «Da quel momento» Amatucci «prese a considerare con maggior attenzione le “voci” sul conto di Esposito». Lo stesso consigliere rivelò anche un'altra «vicenda emblematica: sarebbe stata portata, per conto della ditta Palumbo (un costruttore attivo all'epoca nell'area del golfo di Policastro, ndr), una vettura Mercedes di colore beige, gli pare di ricordare a benzina, acquistata» da un direttore romano di banca «con chiavi nel cruscotto, sotto l'abitazione del dottor Esposito».
Ancora Amatucci rispolverò la fresca assoluzione dell'avvocato Francesco Vallone (che aveva dato il via con un esposto al procedimento disciplinare contro Esposito) nel processo per calunnia e falsa testimonianza intentato contro di lui proprio dall'ex pretore, e Vallone aveva parlato proprio di presunti favoritismi della pretura di Sapri nei confronti del costruttore che avrebbe «recapitato» la lussuosa berlina tedesca. Il plenum sostenne che Amatucci, che aveva parlato di episodi non presenti negli atti dell'istruttoria, avrebbe dovuto «comunicare per tempo elementi così gravi e rilevanti». Alcuni consiglieri cominciarono a valutare l'ipotesi di un rinvio della pratica in commissione, altri, come Laudi, consideravano invece «paradossale rinviare la decisione in ragione del fatto che sono stati presentati elementi aggravanti». Si decise di votare per il rinvio, ma la proposta venne respinta. Il coinvolgimento di Esposito nella «scuola» di famiglia, l'Ispi, ebbe un forte peso nella decisione, e il relatore spiegò che quell'elemento, insieme alla presenza «ultraventennale», avevano «accresciuto il potere» di Esposito, dando luogo «qualcosa di diverso e incompatibile con la funzione di pretore dirigente». Anche perché il contributo che il pretore dava alla scuola non era solo per passione. Ecco cosa scrivono i consiglieri del Csm quando definiscono il trasferimento. Sulla scuola di formazione si soffermano a lungo, e un po' si stupiscono davanti al tenore di vita del magistrato, «proprietario di un villino a Roma, di una Jaguar e di un motoscafo». Avallano così «l'ipotesi che l'Ispi abbia consentito la realizzazione di guadagni nell'ordine di centinaia di milioni, come sembrerebbe potersi evincere dai costi di iscrizione e dalle rette di frequenza». Insomma, toglierlo da Sapri è un gesto «di buon governo». Al voto, 14 consiglieri sono per il trasferimento, 11 votano contro, 4 si astengono.
Non è finita. Esposito a gennaio '97 cita in giudizio davanti al Tribunale di Roma, chiedendo un risarcimento danni per 4 miliardi di lire, due componenti del Csm - Amatucci e il relatore, Franco Coccia - insieme all'avvocato Vallone e a Ermanno Marino, «reo» d'aver raccontato ad Amatucci di aver guidato la famosa Mercedes. Ma il tribunale di Roma respinse la sua richiesta. Far pagare i consiglieri per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni era davvero troppo.
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12 Agosto:


IMPOSIMATO DIFENDE (MALE) ESPOSITO E LORENZETTO RIBADISCE: “I GIUDIZI SU BERLUSCONI E VANNA MARCHI LI DISSE A ME E ALL’ALTRO COMMENSALE”

Il cronista del “Giornale”: “Le opinioni del giudice erano in un mio libro del 2011, quando non si sapeva che avrebbe condannato il Cav. Non le ho rivelate prima perché non riuscivo a rintracciare l’altro testimone. Esposito si è comportato in maniera discutibile, ma è comprensibile la difesa (vaga) del suo amico Imposimato”…


Stefano Lorenzetto Hic Sunt LeonesSTEFANO LORENZETTO HIC SUNT LEONES

1. IMPOSIMATO DIFENDE (MALE) ESPOSITO
Stefano Lorenzetto per "Il Giornale"

Chi sono, molti di voi già lo sanno: quell'infame che per primo, sabato scorso, ha osato rivelare qualcosa di spiacevole su Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Suprema Corte di Cassazione che ha confermato la condanna definitiva a carico di Silvio Berlusconi.
Stefano LorenzettoSTEFANO LORENZETTO
L'obiezione che mi viene mossa da più parti - giornalisti, lettori, blog e vituperatori di professione - è la seguente: perché non ha raccontato prima della sentenza la storia delle parole pronunciate dal magistrato che doveva giudicare Berlusconi? È la domanda che si pone anche Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione, fraterno sodale di Esposito, in un'intervista apparsa ieri sul Fatto quotidiano. Colgo l'occasione, direbbe il mio amico Luca Goldoni, per rispondere a tutti.
MILELLA. Martedì 16 luglio rientro da una vacanza in Francia. Venerdì 19 sulla Repubblica m'imbatto nel seguente inciso di un pezzo firmato da Liana Milella: «Antonio Esposito, considerato negli ambienti dell'ex premier una toga "nemica" di Berlusconi, "uno da cui è scontato che arrivi una condanna"». (Mi sono documentato a posteriori: la composizione del collegio fu decisa con decreto del primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, il 21 maggio scorso: in precedenza nessuno poteva sapere che a Berlusconi sarebbe toccato il giudice Esposito).
antonio espositoANTONIO ESPOSITO
Mi rendo subito conto che si tratta dello stesso Esposito che il 2 marzo 2009 all'hotel Due Torri di Verona, a una cena del Lions in cui sedevo alla sua destra, aveva rivelato a me e a un altro commensale che esistevano intercettazioni telefoniche nelle quali Berlusconi dava la pagella a due deputate del Pdl in base alle loro prestazioni sessuali e che si accingeva - lui, Esposito - a graticolare quell'emerita imbrogliona di Vanna Marchi (come avvenne meno di 48 ore dopo con sentenza definitiva di condanna emessa dallo stesso Esposito).
ANTONIO E VITALIANO ESPOSITOANTONIO E VITALIANO ESPOSITO
SMS. Avviso il direttore Alessandro Sallusti con un Sms inviato alle ore 15.43 del medesimo giorno (prova fotografica a disposizione). Però è la mia parola contro quella di un giudice, e che giudice. Urge rintracciare l'altro testimone che a quella cena sedeva alla sinistra di Esposito e che ascoltò le sconcertanti esternazioni del magistrato.
È un funzionario dello Stato, che dirige una struttura dove la settimana corta comincia il venerdì pomeriggio. Non avendo recapiti telefonici privati, gli spedisco senza troppe speranze una mail alle ore 16.33 del 19 luglio, chiedendo se può fornirmi un suo numero di cellulare. L'interessato mi risponde per posta elettronica alle 14.38 del sabato. Chiamo immediatamente: il telefonino risulta spento. Idem nei giorni successivi.
LIANA MILELLALIANA MILELLA
TESTIMONE 1. Il 23 luglio mi rivolgo all'ufficio statale dove il testimone lavora, ma scopro che è stato collocato in pensione il giorno prima: «Qui non torna più di sicuro», m'informa la segretaria. Il 24 luglio (ore 11.06) finalmente riesco a rintracciarlo sul cellulare.
Gli rammento i particolari che quel magistrato giunto da Roma, di cui egli ignora l'identità, ci raccontò alla cena del 2009, ricevendo per ognuno di essi invariabilmente la stessa risposta, nonostante fossero passati più di quattro anni: «Sì che mi ricordo!». Quando gli faccio presente che si tratta del giudice che deciderà il destino di Berlusconi, sussulta: «Ma va' lààà! Ma va' lààà! Dìmene altre!», cioè dimmene altre, perché a questa non posso credere. La registrazione della telefonata dura 5 minuti e 12 secondi.
FERDINANDO IMPOSIMATOFERDINANDO IMPOSIMATO
TESTIMONE 2. Io non so come si regolasse Imposimato nelle sue indagini quand'era pubblico ministero. Per parte mia posso dire che quella conferma era solo un tassello del mosaico. Dovevo cercare un altro autorevole testimone, che al Due Torri non sedeva al nostro tavolo ma che in passato m'aveva confidato d'aver appreso dalla viva voce del giudice Esposito le stesse enormità ascoltate da noi. Costui mi ha ribadito che l'eminente personaggio della Cassazione considerava Berlusconi «un grande corruttore» e «il genio del male». Questa seconda testimonianza (29 minuti e 30 secondi) ho potuto raccoglierla alle ore 15.45 del 2 agosto, a sentenza già pronunciata.
AIUTINO. «Se lo avesse scritto prima magari l'avvocato (di Berlusconi, ndr) avrebbe potuto fare qualcosa», dice l'amico di Esposito al Fatto. Vede, dottor Imposimato, io non sono stipendiato per dare una mano nei processi al fratello del mio editore, esattamente come lei che era pagato da Mediaset solo per dirimere le beghe condominiali a Forum su Rete 4, e mi sorprende il suo velato rimprovero per la mia intempestività.
Le confesso: tutto sommato non mi dispiace che la rigorosa ricerca si sia conclusa dopo che l'ex premier era stato condannato. Infatti che cosa si sarebbe detto e scritto se un cronista «servo di Berlusconi» avesse tentato sul giornale di famiglia di salvare il Cavaliere alla vigilia dell'udienza? No, il suo amico Esposito e gli altri quattro del collegio di Cassazione non potranno mai accusarmi d'aver intralciato la giustizia.
Stefano LorenzettoSTEFANO LORENZETTO
Spiega Imposimato al Fatto: «Quella sera io c'ero e non ho sentito nulla di quanto riportato da Lorenzetto. Mi sembra una cavolata». La ringrazio della formula dubitativa («mi sembra») e dell'oculata scelta lessicale («cavolata», cioè balordaggine, sciocchezza, stando allo Zingarelli). Avrebbe potuto dire: «È una falsità». Ma non l'ha detto, da persona ammodo e prudente qual è. Amicus Plato, sed magis amica veritas, mi è amico Platone, ma mi è più amica la verità.
VIDEO MESSAGGIO DI BERLUSCONI DOPO LA CONDANNA DELLA CASSAZIONEVIDEO MESSAGGIO DI BERLUSCONI DOPO LA CONDANNA DELLA CASSAZIONE
E lei, l'amico di Platone, quella sera non poteva certo udire i discorsi che ho riferito perché: 1) stava alla mia destra, dunque distante da Esposito, a un tavolo amplissimo, dove sedevano una decina di ospiti; 2) gli invitati erano un centinaio e sotto le storiche volte del Due Torri il brusio era notevole; 3) il suo collega di Cassazione non usava il megafono: conversava a bassa voce con i due commensali a lui più vicini; 4) le esternazioni sono avvenute verso la fine del convivio, quando lei era impegnato a ricevere l'ossequio di chi s'apprestava ad andarsene.
SENTENZA BERLUSCONI LATTESA DAVANTI LA CASSAZIONESENTENZA BERLUSCONI LATTESA DAVANTI LA CASSAZIONE
STRANEZZE. Ecco perché la sua successiva asserzione («quella sera davanti a me Esposito non ha detto nulla né su Berlusconi e le deputate né su Vanna Marchi») suona pleonastica, considerato che il suo amico non parlava con lei ma con me. «E mi sembra strano che si sia lasciato andare a confidenze suscettibili di rilievi disciplinari con un giornalista e altri commensali che non erano suoi amici», soggiunge.
In effetti è sembrato strano anche a me che Esposito anticipasse una sentenza a tavola, tanto che avevo già citato l'episodio nel libro Visti da lontano (Marsilio), uscito nel 2011, dunque in epoca non sospetta. Ma Imposimato converrà che la stranezza ha trovato una spiegazione logica dopo che l'Italia intera ha ascoltato le improvvide dichiarazioni telefoniche in dialetto napoletano che il giudice Esposito ha elargito lunedì scorso al conterraneo Antonio Manzo del Mattino («lo conosco da 40 anni, se fa il giornalista lo deve solo a me», ha spifferato furioso mercoledì alla Repubblica, con ciò notificandoci che i magistrati favoriscono le carriere dei cronisti amici, un molesto sospetto che ci perseguitava da tempo).
DISEGNO DI FRANCO PORTINARI CORTE DI CASSAZIONE DURANTE LUDIENZA SUL PROCESSO MEDIASET BERLUSCONIDISEGNO DI FRANCO PORTINARI CORTE DI CASSAZIONE DURANTE LUDIENZA SUL PROCESSO MEDIASET BERLUSCONI
AMICIZIA. Cosicché oggi quella parte di opinione pubblica che non sia accecata dall'odio si rende ben conto che i comportamenti del giudice Esposito sono risultati in almeno due occasioni assai discutibili, mentre un magistrato, e tanto più un magistrato della Suprema Corte, dovrebbe sempre essere (e anche apparire) inattaccabile sotto tutti i profili. Imposimato non s'è mai accorto di tali comportamenti?
Eppure una fonte affidabile, con la quale entrambe le toghe - quella in pensione e quella in servizio - intrattengono relazioni confidenziali, mi assicura che il figlio del giudice Esposito (magistrato anche lui, noto alle cronache per una cena con l'imputata Nicole Minetti) il 25 maggio 1973 fu registrato all'anagrafe col nome Ferdinando proprio in suo onore, gentile dottor Imposimato.
Magari non è affatto vero e, del resto, il dettaglio ha ben poca rilevanza. La sua familiarità quarantennale col giudice Esposito traspariva dalla difesa sul Fatto, e questo le fa molto onore, perché gli amici si vedono nel momento del bisogno. Però temo che con quell'intervista priva di firma lei non abbia reso un buon servizio alla verità. E neppure all'amico.

2. IMPOSIMATO: ESPOSITO "NON HA MAI RIVELATO SEGRETI"
Dal "Fatto Quotidiano", senza firma
Vogliono punire Esposito perché ha fatto il suo dovere. L'intervista al Mattino è stata manipolata con l'aggiunta di una domanda. E anche la storia delle sue battute su Berlusconi alla cena a cui ho partecipato, svelata dal Giornale, è una cavolata". Così Ferdinando Imposimato, ex magistrato di Cassazione ed ex parlamentare, difende il suo amico Antonio Esposito.
lbt08 clemente mastella ferdinando imposimatoLBT08 CLEMENTE MASTELLA FERDINANDO IMPOSIMATO
Imposimato era citato nell'articolo pubblicato il giorno dopo la condanna sul Giornalea firma di Stefano Lorenzetto:"Al tavolo d'onore ero seduto fra Imposimato ed Esposito, nel bel mezzo del banchetto cominciò a malignare, con palese compiacimento, circa il contenuto di certe intercettazioni telefoniche riguardanti a suo dire Berlusconi (...) Dava segno di conoscerne a fondo il contenuto, come se le avesse ascoltate. Si soffermò sulle presunte e specialissimedotierotichechedue deputate del Pdl, delle quali fece nome e cognome, avrebbero dispiegato con l'allora presidente del Consiglio". E poi la seconda accusa del giornalista: "Il giudice Esposito mi rivelò quale sarebbe stato il verdetto definitivo che avrebbe pronunciato a carico della teleimbonitrice Vanna Marchi".
ALFANO E BERLUSCONI VERSIONE VANNA MARCHIALFANO E BERLUSCONI VERSIONE VANNA MARCHI
Imposimato è vero che Esposito disse queste cose su Berlusconi e Vanna Marchi?
Quella sera io c'ero e non ho sentito nulla di quanto riportato da Lorenzetto. Mi sembra una cavolata. Mi spiega perché il giornalista non ha raccontato la storia delle parole del giudice che doveva giudicare Berlusconi prima della sua condanna? Se lo avesse scritto prima magari l'avvocato avrebbe potuto fare qualcosa.
Lorenzetto sostiene che un altro partecipante a quella cena ricorda gli stessi particolari.
Quella sera davanti a me Esposito non ha detto nulla né su Berlusconi e le deputate né su Vanna Marchi. E mi sembra strano che si sia lasciato andare a confidenze suscettibili di rilievi disciplinari con un giornalista e altri commensali che non erano suoi amici. A me pare che gli vogliono far pagare le sue due grandi colpe: avere fatto condannare Berlusconi e avere fissato il processo il 30 luglio. Forse Berlusconi sperava nelle sezioni unite.
Vanna MarchiVANNA MARCHI
Alcuni legali hanno sostenuto che la scelta di anticipare il processo per evitare la prescrizione è anomala.
Ma quando mai! Era un dovere di Esposito fissarlo subito come ha fatto. Io difendo da avvocato un importante magistrato che non è stato promosso perché ha fatto prescrivere tre processi. Se non lo avesse fatto avrebbero potuto processarlo disciplinarmente.
L'intervista al Mattino non è stata una scelta felice.
antonio manzoANTONIO MANZO
Sono arrabbiatissimo con lui, non avrebbe mai dovuto farla. Ha sbagliato a fidarsi del giornalista, ma non è vero che ha risposto a una domanda sulla motivazione della sentenza contro Berlusconi. Esposito parlava in generale e spiegava al giornalista la prova con l'esempio generico di Tizio, Caio e Sempronio. Solo l'aggiunta della domanda nell'intervista scritta, mai fatta dal giornalista nella realtà, ha prodotto l'equivoco.
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13 Agosto

"Repubblica" inventa, l'Anm ha la coda di paglia

Il quotidiano di Ezio Mauro "avverte" il Csm: non c'è alcuna prova nell'audio choc


Roma - La Repubblica sa, sa tutto, per definizione. Sa anche cosa c'è nel cassetto dei giornalisti del Mattino, e naturalmente conosce minuto per minuto cosa si sono detti al telefono Antonio Manzo e il suo «quasi» amico Antonio Esposito, giudice della Corte di Cassazione. Conosce i nastri, la registrazione, non quei pochi minuti resi pubblici, ma quelli su cui in tanti si stanno interrogando. La conclusione, naturalmente, è che non c'è nulla da capire né da sapere. È roba inutile, che non vale due parole sui giornali. Oltretutto non è neppure facile decrittarla quella telefonata. Serve l'interprete, perché il dialogo è in napoletano stretto, un po' troppo nella variante Caccamo, e quindi serve l'interprete adatto, un Teo Teocoli o qualcuno che gli assomiglia. Fatto sta, teorizza Repubblica, che i nastri stanno bene dove stanno, nell'ombra. La trasparenza, la Glasnost, avrebbe detto Gorbaciov, non è un valore assoluto. Ci sono cose che è meglio non sapere, soprattutto di questi tempi. Tanto è vero che ancora nessuno lo ha richiesto, questo benedetto nastro. Dal Csm - garantisce Rep - non è partito nulla. Neppure in Cassazione e in via Arenula, ministero della Giustizia, si sono mossi. Non c'è a quanto pare nessuna voglia di “processare” il giudice Esposito. La teoria è che se un magistrato deposita sui giornali le motivazioni di una sentenza non c'è nulla di strano, anzi: è prassi.
In questa storia in fondo tutto è prassi. È prassi che un giudice di Cassazione lavori in una scuola privata. È prassi che non senta neppure il bisogno di spiegare perché il suo numero di telefono sia indicato come contatto per un corso universitario, come se il giudice fosse a tempo perso, e per secondo lavoro, un applicato di segreteria. Certo, mica è reato. È solo che il doppio incarico è in genere vietato se non è autorizzato. Ma è prassi che ormai Antonio Esposito sia intoccabile per meriti acquisiti. Quando a Rep le cose non tornano come dovrebbero c'è sempre una prassi che giustifica tutto. Il principio morale di Repubblica è che è giusto tutto ciò che per Repubblica è giusto. Sono platonici nel nome e aristotelici nel dogma. Beati loro.
Ieri, poi, si è svegliata anche l'Associazione nazionale magistrati. È bastato pronunciare la parola Magistratura democratica. Fino a quando si parla di Esposito passi, ma se poi si tocca un pezzo di categoria parte l'anatema: quel giornale bestemmia. In una nota firmata dal presidente Rodolfo Sabelli, dal vicepresidente Valerio Savio e dal segretario generale Maurizio Carbone, l'Anm «denuncia la sistematica pubblicazione su alcuni quotidiani nazionali di articoli che, nel commentare l'esito della sentenza Mediaset, contengono in realtà gravi offese anche personali rivolte a singoli magistrati o a intere componenti della magistratura associata». Non vale più il diritto di critica perché, secondo loro, queste sono offese alla giurisdizione. L'accusa è di delegittimare il lavoro di tutti i magistrati. Non serve. Ci pensa già la prassi.

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Mercedes, fango e bugie: Il Giornale all’assalto del giudice Esposito

Il quotidiano di famiglia del condannato di Arcore attacca il presidente della Cassazione che lo ha giudicato colpevole sull'evasione di Mediaset. Omettendo sistematicamente di citare gli esiti delle inchieste, sempre favorevoli al magistrato. Dal caso Ispi alla richiesta di trasferimento, ecco tutte le menzogne pubblicate negli ultimi giorni

Mercedes, fango e bugie: Il Giornale all’assalto del giudice Esposito
Dopo la condanna di Silvio Berlusconi a 4 anni di carcere Il Giornale di Alessandro Sallusti ha dedicato una ventina di pagine al 72enne presidente della sezione feriale della Cassazione, Antonio Esposito. Il 3 agosto parte Stefano Lorenzetto con un articolo basato sul suo ricordo di una cena del 2009 con il giudice: “Così infangava Berlusconi il giudice che l’ha condannato” è il titolo. Il pezzo viene pubblicato solo dopo la condanna, nonostante il direttore Sallusti fosse informato da giorni.
Quando il magistrato Ferdinando Imposimato, presente alla cena, dice al Fatto di non aver sentito nulla del genere, Lorenzetto lo fulmina: Imposimato era lontano e poi è troppo amico di Esposito per essere credibile. La prova? “Una fonte affidabile mi assicura che il figlio fu registrato all’anagrafe con il nome di Ferdinando proprio in onore di Imposimato”. La fonte è attendibile perché intrattiene ‘relazioni confidenziali ’ con Esposito. Peccato che non abbia svelato a Lorenzetto un altro segreto: Ferdinando è il nome del padre di Antonio.
Il Giornale picchia duro anche dopo la pubblicazione dell’intervista di Esposito al Mattino. Nella suasmentita il giudice nega di avere risposto a una domanda sulla motivazione della condanna di Berlusconi. La frase “Berlusconi condannato perché sapeva” effettivamente non è farina del suo sacco e la sua risposta (riportata fedelmente dal Mattino) seguiva una domanda diversa e generale. Ma per Sallusti è “Il giudice bugiardo”. Dopo l’8 agosto Il Giornale pubblica tre pagine al giorno piene di accuse: Esposito fa il doppio lavoro a Sapri ed è stato trasferito d’ufficio dal Csm. Esposito accettava Mercedes in regalo e si appropriava di fascicoli sui vip per smania di protagonismo. Il giudice replica con i provvedimenti del Csm e dei giudici che hanno smontato le accuse riportate dal Giornale. La lettura incrociata di articoli e comunicati spiega bene come funziona la stampa berlusconiana.
IL CASO ISPI
L’attacco de Il Giornale: “Aveva un doppio lavoro, amministrava una scuola”
Il quotidiano di Sallusti spara l’8 agosto in prima pagina: ‘Lo strano doppio lavoro del giudice bugiardo’. Nell’articolo si legge: “Quando Antonio Esposito non sta in Cassazione fa un altro lavoro. Un doppio lavoro. (…) Esposito veste i panni del responsabile amministrativo di un pezzo di un’università telematica. Insieme alla moglie avvocato e alla figlia, il magistrato risulta referente per lo sportello Salerno/2 della Unicusano, ateneo privato romano (…) sul sito web dell’università come contatto per Sapri c’è proprio il numero di cellulare dell’alto magistrato. Illecito? No, magari no. Magari il buon giudice ha il via libera, l’ok, del Csm. Magari è normale”. Il Giornale torna sul tema tre giorni dopo per ricostruire il procedimento disciplinare subito dal giudice alla fine degli anni novanta sulla scorta di una relazione redatta da un allora giovane capitano dei Carabinieri della stazione di Sapri: “Alla fine – scrive Il Giornale – è stata proprio la gestione dell’Ispi a determinare il trasferimento. ‘Dovrebbe essere provato – si legge nel provvedimento – che Esposito svolga attività ulteriori rispetto a quella dell’insegnamento per il quale è stato autorizzato dal Csm’ (…) Esposito – scrivono i consiglieri – poteva essere reperito sistematicamente presso i locali della scuola e i collegamenti con l’Ispi venivano tenuti anche in pretura’”. 
La replica del giudice: “Insegnava gratuitamente, il Csm lo aveva autorizzato”Il Giornale omette di dire che tutte le dichiarazioni di questo ufficiale (il capitano dei Carabinieri, ndr) più volte “rettificate e parzialmente difformi” tra di esse erano state smentite addirittura da numerosi militari della sua stessa compagnia e da un militare della Guardia di Finanza. Così conclusivamente motiva il Csm: “(…)contrariamente a quanto affermato dal capitano l’Ispi non era una società di capitali, il cui amministratore unico era la moglie del dr. Esposito, ma era un’associazione culturale senza scopo di lucro. A proposito dell’attività svolta dal dr. Esposito presso l’Ispi non è stato confermato quanto riferito dal teste, sia pure sulla base di notizie informalmente acquisite, di “impressioni”, di “conclusioni personali” in merito al ruolo di direttore, amministratore o organizzatore di Esposito, a un suo asserito potere di stabilire chi doveva essere ammesso e chi non doveva. È emerso, infatti, che “il magistrato svolgeva esclusivamente attività d’insegnamento, non si occupava in alcun modo direttamente o tramite la moglie dei profili gestionali dell’istituto, non ha mai fatto parte del consiglio d’amministrazione dell’Ispi”. Inoltre l’incarico era “ritualmente comunicato al Csm, autorizzato ed espletato gratuitamente”. 
IL TRASFERIMENTOL’attacco de Il Giornale: “Rete di affari e troppo protagonismo, per questo fu spostato”Il titolo del quotidiano dell’11 agosto non lascia adito a dubbi: “La rete di affari di Esposito: ecco perché fu trasferito”. Il titolo sintetizza così la motivazione del trasferimento: “Con la sua scuola guadagna centinaia di milioni che gli permettono di avere una Jaguar, una villa a Roma e un motoscafo”. Secondo Il Giornale: “Il 7 aprile del ‘94 il plenum del Csm approvava a maggioranza la proposta di trasferimento d’ufficio dell’allora pretore di Sala Consilina, che venne destinato alla Corte d’Appello di Napoli”. Il Giornale entra nei dettagli: “Sulla scuola di formazione i consiglieri si soffermano a lungo, ipotizzando che il particolare tenore di vita del magistrato che risultava ‘proprietario di un villino a Roma, di una Jaguar e di un motoscafo avallassero l’ipotesi che l’Ispi avesse consentito la realizzazione di guadagni nell’ordine di centinaia di milioni’”. Inoltre, secondo Il Giornale, Esposito era accusato di avere “gravemente mancato ai propri doveri”. Il CSM, lo aveva trasferito perché “aveva celebrato nel ’91 un procedimento penale contro Maria Pia Moro per interruzione di pubblico servizio ‘senza che tale procedimento fosse compreso tra quelli a lui assegnabili’”.
La replica del giudice: “Accuse smentite dagli organi competenti già 13 anni fa”Il trasferimento d’ufficio da Sala Consilina a Napoli del 1994 venne annullato dal Tar del Lazio nel 1996 per “un progressivo sfaldarsi delle tesi accusatorie”. Nel 1998 il Giudice della Sezione Disciplinare del CSM dà ragione di nuovo a Esposito e nel 2000 il CSM torna sulla materia e sostiene che l’attività di Esposito presso l’Ispi è di “esclusivo impegno didattico, senza interessi patrimoniali, regolarmente autorizzata e di nessun intralcio per il normale svolgimento delle funzioni giudiziarie”. Anche sulla questione della “smania di protagonismo”, Il Giornale fa un buco nell’acqua. Il Csm così afferma: “Conclusivamente la celebrazione dell’udienza del 12/11/91 – Procedimento Fidia Moro – da parte del Dott. Esposito ebbe a rappresentare un atto di doverosa assunzione di responsabilità del dirigente di un ufficio giudiziario in assenza di un collega e non certo una disdicevole forma di protagonismo di cui manca in atti qualsiasi prova. Anzi gli elementi probatori raccolti sono di segno esattamente opposto in quanto i testi hanno univocamente riconosciuto l’imparzialità e la correttezza del Dott. Esposito”.
L’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE
L’attacco de Il Giornale: “Il Pci lo accusò di faziosità”
Anche un’interrogazione parlamentare comunista è stata riciclata a distanza di 33 anni e promossa a sentenza sotto il titolo de Il Giornale: “Il magistrato inchiodato pure alla Camera”. Gli inviati a Sapri di Sallusti hanno recuperato il testo dell’atto del 1980 firmato dai deputati PCI Alinovi, Amarante e Vignola: “L’operato di Esposito è oggetto di universale riprovazione da parte della popolazione del mandamento per i comportamenti asociali e per la faziosità”.
La replica del giudice: “Il Csm archiviò l’inchiesta parlando di un complotto”Il Giornale omette: “L’inchiesta apertasi a seguito delle interrogazioni venne archiviata dal Csm”. La motivazione descrive “un vero e proprio complotto contro Esposito (…) oggetto di un attacco scorretto nelle forme e illecito nei contenuti da parte di un gruppo di persone che per soddisfare un loro sentimento di vendetta (…) non hanno esitato a costruire a tavolino gli elementi di accusa ed a coinvolgere nell’operazione anche rappresentanti del Parlamento”. 
LA MERCEDES REGALATAL’attacco de Il Giornale: “Cene a sbafo e auto di lusso in omaggio”L’accusa più velenosa contro Esposito è quella del sottotitolo del Giornale dell’11 agosto: “Spuntano una Mercedes gratis e le cene a sbafo”. Nell’articolo si ricostruiscono le accuse rivolte da un consigliere del CSM a Esposito: “Sarebbe stata portata, per conto della ditta Palumbo (un costruttore della zona, ndr), una Mercedes di colore beige acquistata” da un direttore romano di banca “con chiavi nel cruscotto, sotto l’abitazione del dottor Esposito”.
La replica del giudice: “Fu comprata nel ’77, era una macchina usata”Esposito ricorda che “la Mercedes 220D del 1971 è stata acquistata regolarmente nel 1977 con 300 mila km percorsi”. La vicenda “è stata archiviata perché “si è accertato, con prova orale e documentale, l’assoluta legittimità dell’acquisto”. Esposito ha rinunciato alla prescrizione ottenendo l’archiviazione del Gip nel 1996. Mentre il Csm ha archiviato nel 1997 sulla base di “univoche acquisizioni documentali” come “l’assegno bancario di Esposito”.
Ecco i comunicati diramati dal giudice Esposito in risposta agli articoli de Il Giornale
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14 Agosto

Il "Fatto" prova a smentirci. E sbaglia

Il quotidiano difende a spada tratta il magistrato, neanche fosse Ingroia. Ma le carte pubblicate dal "Giornale" lo sbugiardano

Roma - Neanche fosse Ingroia. Da quando il Giornale ha cominciato a scavare nella carriera del presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito, il giudice che ha pronunciato la sentenza definitiva di condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni (più tre di interdizione dai pubblici uffici) per il caso dei diritti tv Mediaset, il Fatto Quotidiano non fa altro che precisare, puntualizzare e provare a smentire.
Come ieri: «Menzogna per menzogna», il titolo in prima pagina. E anche nel servizio all'interno le accuse si sprecano: «Mercedes, fango e bugie: il Giornale all'assalto di Esposito».
Il primo punto è la difesa dell'indifendibile. Depotenziare, cioè, l'intervista concessa dal giudice al giornalista del Mattino in cui la toga (e il quotidiano di Napoli ha pubblicato tanto di audio sul suo sito internet) anticipa le motivazioni della sentenza, che ancora devono essere pubblicate. Il passaggio «incriminato» è quello in cui Esposito parla di «Berlusconi condannato perché sapeva», secondo il Fatto la risposta «non è farina del suo sacco e seguiva domanda diversa e generale». Lo stesso Csm vuole vederci chiaro e per questo ha aperto una pratica sull'intervista, così come il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri che ha dato mandato agli ispettori ministeriali per far luce sulla questione.
C'è poi il nodo del doppio incarico del giudice. Che, carte alla mano, ha svolto e svolge (forse persino a pagamento) le funzioni di consulente e docente per l'Ispi di Sapri, la scuola che ha come legale rappresentante la moglie di Esposito, Maria Giovanna Giffoni. Un'occupazione per cui doveva essere autorizzato dal Csm, anche se fosse gratis. Il Fatto sostiene che il via libera ci sia stato («l'incarico era ritualmente comunicato al Csm, autorizzato ed espletato gratuitamente», scrive il Fatto), peccato però che il Giornale abbia dimostrato il contrario proprio ieri. Tra il 14 novembre 2010 e il 13 novembre 2011 Esposito non era autorizzato a svolgere il doppio incarico, così come tra il 14 maggio 2012 e il 13 maggio di quest'anno. Un granchio di Fatto.

C'è la prova: il giudice è stato pagato

L'autorizzazione al giudice Esposito per il suo impiego nella scuola privata Ispi era per una "consulenza gratuita". Peccato che ora spunti un versamento di 974 euro sul conto del magistrato e della moglie per il ruolo direttivo nell'istituto. ECCO LA PROVA

Roma - La cifra incassata non sarà esorbitante, e non è dato sapere - a meno che non voglia dircelo lui - se la paghetta ha cadenza mensile, annuale o se sia un'elargizione una tantum. O se magari serve per fare beneficenza. Ma il dato in sé non è certo indifferente, perché sembra provare che il giudice Antonio Esposito percepisca compensi dall'Istituto di formazione di famiglia, l'associazione culturale senza scopo di lucro Ispi di Sapri.
Un estratto del conto corrente dell'Ispi, aperto presso una filiale romana dell'Ubibanca, del quale il Giornale è venuto in possesso, riporta infatti un «bonifico sportello» per l'importo di 974,56 euro dalle casse dell'associazione culturale/agenzia di formazione a favore di Antonio Esposito e Maria Giffoni.

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