DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

giovedì 15 febbraio 2018

Il collasso slow motion di M5S (di Lucia Annunziata)- HUFFPOST

Il collasso slow motion di M5S

Quello dei mancati rimborsi è un fallimento di leadership. E non solo di Di Maio. Il consenso, come le azioni per Cuccia, si pesa e non si conta.


L'incapacità di Di Maio non ha a che fare con i congiuntivi – peccato veniale in questo paese - ma con il suo fallimento nel trasformare il sistema Cinquestelle in una vera organizzazione, capace di mettere in piedi un meccanismo efficiente di selezione della classe dirigente. Il risultato è il collasso slow motion a cui assistiamo in questi giorni.
Di questo si tratta quando si discute di rimborsi.
Per evitare di assumersene responsabilità Di Maio ha scelto prima la strada banale delle "mele marce" (come sempre tutti i politici), poi quella dell' "eccesso di fiducia nell'animo umano" – scomodando, chissà se consapevolmente, quel Rousseau che ha battezzato la piattaforma, nell'ennesimo uso a sproposito delle molte eco della rivoluzione franceseche vivono sotto pelle del movimento. Ma la responsabilità della vicenda scontrini rimane sulle sue spalle per la semplice ragione che tutto è sempre responsabilità del leader. Almeno nel senso politico.
La vicenda scontrini riguarda infatti di sicuro l'onestà individuale, ma dietro l'imbroglietto spunta una voragine organizzativa i cui segni da tempo tormentano l'ascesa dei Cinquestelle, e l'ascesa di Di Maio a suo leader.
Questa voragine non si è aperta con la scalata di Di Maio. È iniziata con alcune crepe, di cui la più importante è stata il trattamento del dissenso interno: l'espulsione del sindaco Pizzarotti, che pure ha fatto bene anche quando cacciato e questo avrebbe dovuto essere una lezione; la scomunica per tutti quelli che andavano in tv nell'epoca in cui la purezza era distinzione totale dal sistema. Ma il dissenso, si potrebbe dire, è una questione di principi da difendere. E i principi sono sacri.
Le vere crepe si sono aperte quando il principio si è scontrato con un principio più alto - quello della legalità: le firme false, ad esempio, le prime delle quali derubricate come errori di inesperienza, ma con il tempo rivelatesi un modo veloce e spregiudicato per aggirare le carenze del sistema organizzativo M5s. In un crescendo negli ultimi anni, il movimento ha dovuto poi misurarsi con amministratori locali indagati, e/o amministratori locali incapaci – lista in cui Raggi e Appendino occupano i primi posti. Infine, in tempi recentissimi, una serie di disastri: il flop della piattaforma (di cui pure avrebbero dovuto essere i maestri) per le parlamentarie; il ridicolo dei risultati dei voti (poche decine a testa) e poi i dubbi sui candidati, i difficili controlli, e le eliminazioni seriali dei molti che pure avevano passato le parlamentarie.
Il problema rimborsi, infine, per il quale non userei il termine scandalo – che banalizza- né termini legali – tipo furto – visto che si tratta della violazione di un regolamento interno. Ma per il quale userei certamente il termine più appropriato, che è: fallimento.
I rimborsi sono infatti il risultato di un fallimento in serie: mancato controllo della applicazione delle regole, mancata direzione della organizzazione, e, più grave di tutto, assenza di ogni comunicazione interna fra persone. Il fatto che dopo cinque anni - perché di tanto tempo si parla – nessuno abbia capito cosa stava succedendo ci parla di un vuoto di relazioni umane interne che è molto grave in una forza politica che parla di sé stessa come di una comunità.
Dov'erano in tutto questo i dirigenti di questa forza politica? Tutti hanno semplicemente avuto, come dicono, "eccesso di fiducia nell'animo umano", o non è forse questo il quadro di una organizzazione in cui ognuno segue solo i propri percorsi, di una barca in cui ognuno rema per proprio conto?
Ho fin qui scritto che tutto questo va accollato a Di Maio perché è lui che è diventato il leader; ma in realtà la domanda sul ruolo di tutto il vertice e le più importanti personalità del M5s è il grande dubbio che proietta un'ombra ulteriore sulla vicenda.
Mentre tutto questo succedeva, almeno Di Maio ci ha messo, come si dice, la faccia. Il suo è un fallimento ma almeno ci ha provato. Intorno a lui, mentre la crepa si allargava, si allargava anche un generale fuggi fuggi – il ritorno al teatro del fondatore Grillo, le diverse strade prese da influenti figure come Di Battista e Fico, la storia di Borrelli, un altro fondatore, che senza spiegazione lascia M5s per fondare un nuovo movimento proprio ora.
Ovviamente ognuno di loro ha diritto a scegliere il proprio percorso: ma l'insieme appare come un disintegrarsi della unità della classe dirigente pentastellata.
Davvero questo quadro non avrà alcun impatto sul voto e sul futuro del M5S?
È un punto su cui i pentastellati rifiutano qualsiasi discussione. Tutti loro si dicono sicuri che il movimento non subirà alcun calo di voto, certi che i loro elettori siano fedelissimi che sanno distinguere gli attacchi del sistema dalle verità. Una teoria sposata anche da alcuni sondaggisti.
Ma, diceva Cuccia, le azioni si pesano, non si contano, e uguale valutazione si applica al voto: i pentastellati, che vogliono oggi immaginare di governare il paese, devono poter contare non solo sul numero di schede nelle urne, ma anche sulla fiducia delle istituzioni e del consenso di almeno una parte dell'opinione pubblica che non li vota, ma è contraria a bloccarli.
Da almeno cinque anni, infatti, cioè da quando hanno fatto irruzione sulla scena politica, il sistema in generale, quello delle istituzioni europee e nazionali, politiche ed economiche, ha cercato di isolare il movimento definendolo il nuovo pericolo populista.
Tuttavia, non tutta la classe dirigente e non tutta la pubblica opinione – e parlo di settori che non voterebbero M5S - ha condiviso questa narrativa. Non l'ha condivisa per contrastare la banalizzazione della politica, la semplificazione delle dinamiche sociali – e forse un po' anche a dispetto del "pensiero unico" che sempre più le elite tendono a imporre. Una parte di classe dirigente, che fossero le ambasciate, i giornalisti, alcune organizzazioni economiche e/o sociali, hanno prestato attenzione ai pentastellati, riconoscendone le potenzialità innovative. E nelle stesse istituzioni questa apertura di credito ha trovato un suo solido spazio.
Ma oggi di fronte alla debacle di leadership emersa, scommetterà ancora sul fatto che i grillini sono un utile stimolo al cambiamento, che occorre dare loro fiducia?
Sono certa che Di Maio e tutti gli altri M5s non hanno dubbi e non condivideranno nemmeno una parola di quanto fin qui scritto.
Ma che per governare serva un consenso molto più largo del proprio elettorato a me sembra una delle poche leggi incontrovertibili della politica. Come hanno provato sulla propria pelle molti dei premier nominati e caduti proprio in questa legislatura appena chiusa.
Poi, certo, ognuno ha il diritto a mantenere le proprie illusioni.

martedì 13 febbraio 2018

Il buco del Vaffanculo

Il buco sale a quasi 1,5 milioni. Il Movimento ammette: conti gonfiati

Il leader: “Non mi fido più di nessuno”. Verifiche su Toninelli. Lezzi: io innocente.
«Dai calcoli che abbiamo fatto noi mancano più soldi di quanto affermato dai giornali». La prima ammissione del M5S, arriva alle 14,30 di ieri attraverso un comunicato ufficioso dello staff. La seconda ammissione arriva qualche ora dopo: «E’ possibile che ci sia stato un errore di calcolo nella somma totale delle restituzioni di questi cinque anni. È una cifra più alta di quanto hanno in realtà restituito i parlamentari». Dunque, la differenza - il famoso buco - tra quanto dichiarato dai 5 Stelle sul sito tirendiconto.it e quanto risulta dai versamenti effettivi nel fondo di garanzia per la microimpresa raccolto dal Tesoro e gestito al Mise è frutto di falsificazioni e bonifici truccati, come quelli ammessi dai parlamentari Andrea Cecconi e Carlo Martelli, ma anche da una manovra sistematica del M5S che ha gonfiato - si vedrà se con dolo o meno - la somma finale, quella che fa da vetrina sul sito del partito.  

La cifra dei 226 mila euro mancanti fornita anche dalla Stampa domenica - e sulla quale Luigi Di Maio aveva detto «non è un buco ma c’è stato un errore nella contabilità» - era stata calcolata per difetto. Il buco invece c’è ed è di oltre un milione di euro. Per la precisione 1,401 milioni.

ATTENZIONE, CADUTA ONESTI - IL SENATORE BUCCARELLA: ‘MI AUTOSOSPENDO DAL M5S, HO REVOCATO DEI BONIFICI DESTINATI AL FONDO’. MA E' LO STESSO CHE ACCANTO A DI MAIO NEGAVA TUTTO DAVANTI ALLE TELECAMERE DELLE ‘IENE’?

RIMBORSOPOLLI


RIMBORSOPOLLI

ORA I GRILLINI LA FINIRANNO CON LA ROTTURA DI PALLE DELLA “DIVERSITÀ” E DELL’ONESTÀ?


1 - DISONESTÀ, DISONESTÀ
Alessandro Sallusti per “il Giornale”

Se so magnati li sordi, direbbero a Roma. Si allarga infatti a macchia d'olio lo scandalo dei deputati e senatori grillini che hanno fatto solo finta di rinunciare a parte dei loro lauti compensi a favore di un fondo di solidarietà.

Una truffa - ci sono carte false - che fa crollare il punto più forte della loro promessa elettorale di cinque anni fa. Che era: noi siamo diversi, noi gli stipendi della casta li restituiamo. La cosa non mi stupisce. Semmai questo tradimento degli elettori va ad aggiungersi ai tanti altri avvenuti lungo l'arco di questi anni, come quello che un avviso di garanzia avrebbe fatto scattare automaticamente l'espulsione dalla vita politica e amministrativa.
Adesso nei Cinquestelle tutti fingono di cadere dalle nuvole, quando è chiaro che se non tutti almeno in tanti sapevano dell' allegra gestione finanziaria, tanto che probabilmente la spiata è partita proprio dall' interno del movimento, da colleghi non rimessi in lista o comunque scontenti.

Di Maio fa la parte del più offeso di tutti, quando anche lui in realtà era corso a sanare gli arretrati alle prime avvisaglie del casino, giusto in tempo per evitare di finire diritto nella lista nera. Ora annuncia che i mariuoli, se eletti, dovranno dimettersi, ben sapendo che la sua è una richiesta irricevibile dagli interessati.

Una volta che un cittadino diventa deputato o senatore non deve rispondere più a nessuno, e anche eventuali dimissioni volontarie devono essere approvate dal Parlamento, non certo dal partito, prassi questa molto lunga: in passato c' è chi ha aspettato anni, percependo nell' attesa lo stipendio pieno.
Nati contro tangentopoli scivolano su rimborsopoli. La parabola moralista grillina piega verso il basso e scatena una guerra dentro il movimento dagli esiti incerti. Il giuramento «onestà, onestà», scandito a gran voce ai funerali di Casaleggio, si è infranto contro i lauti assegni e le prebende erogate dallo Stato a chi entra nella casta della politica, anche da oppositore del sistema.

Così hanno capito che quello dei professionisti dell' anticasta è un mestiere redditizio e molto semplice: basta fingere di aver fatto un bonifico e il gioco è fatto. La maschera è caduta e il vetro della trasparenza è andato in frantumi. I grillini non solo sono come gli altri, sono peggio. Perché hanno l' arroganza di credersi i migliori.
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2 - RIMBORSOPOLLI
Mattia Feltri per “la Stampa”

Al momento in cui andiamo in stampa, dal fondo per le piccole imprese aperto dal Movimento Cinque Stelle manca oltre un milione di euro. Si usa una formula prudenziale perché ieri mattina mancavano 200 mila euro, dopo pranzo ne mancavano 500 mila, e poco prima di cena si era già, appunto, oltre il milione.

Funziona così: a fine mese i parlamentari grillini versano sul fondo una quota del loro stipendio e poi si fanno la foto con quegli assegni formato maxi come la loro virtù. Che poi 23 milioni li hanno raccolti, onore a loro. Però qualcuno (i nomi in cronaca) disponeva il bonifico dalla banca online, pubblicava la ricevuta, e subito dopo annullava il bonifico. Altri avevano escogitato un sistema più rapido: pubblicavano sempre la stessa ricevuta e cambiavano la data.
Un po' come dare cinque euro a un senzatetto, scattare il selfie, metterlo su Facebook e poi riprendersi la banconota: roba da rubagalline. Vorremmo però risparmiarvi la solfa del puro che viene epurato, dell' onestà-tà-tà e tutte quelle scontatezze: soltanto un illuso (e ce ne sono molti, e Beppe Grillo è il più illuso di tutti) può pensare che un popolo probo e laborioso produca da decenni, e per coincidenza astrale, una classe dirigente viziosa.
L' aspetto straordinario è però un altro. Fra falsari della beneficenza, massoni inconfessati e inquilini a sbafo, sono più o meno una decina le persone in lista col primo partito italiano a cui, come primo atto parlamentare, toccherà autoeliminarsi. Sarà una legislatura da non perdere.
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Rimborsi M5s, Pizzarotti: "Promettono lotta all'evasione e non sanno controllare i conti interni"


Il sindaco di Parma, ex del Movimento a Circo Massimo su Radio Capital: "Grave che proprio i caporali abbiamo falsificato i rendiconti"
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lunedì 12 febbraio 2018

I cavalieri senza macchia


Scontrini e Robespierre

 
ANSA
Sostiene Luigi Di Maio: "La notizia in un paese normale è che M5S ha restituito 23 milioni e 100mila euro di stipendi e questo è certificato da tutti quanti e ci sono 7mila imprese in Italia che lo testimoniano perché quei soldi hanno fatto partire 7mila imprese e 14mila posti di lavoro. Se ci saranno controlli da fare li stiamo facendo, ringrazio chi ha fatto queste inchieste ma questo è un paese strano in cui restituisci 23,1 milioni e la notizia è che manca lo 0.1".
La dichiarazione, sembrerà strano al giovane movimento dei pentastellati, discende da una lunga tradizione costruita sui piccoli e grandi fallimenti del potere. Si chiama doppio standard ed è una delle categorie etiche più studiate in politica: quel fenomeno per cui il giudizio nei confronti di tutti gli altri, tutti i tuoi avversari per dire, sono ferrei. Mentre quelli nei confronti del tuo gruppo sociale sono "ammorbiditi" dall'idea di una tua supposta superiorità etica. Il doppio standard è in genere attribuito al potere regnante, lo stato, le classi abbienti, le gerarchie ecclesiastiche: è il potere che - definizione del suo cinismo – perdona a se stesso quello che non perdona ad altri.
Purtroppo, tutte le rivoluzioni di epoca moderna – stabilendone l'inizio alla Rivoluzione Francese - hanno poi fatto uso dello stesso strumento: perdonando a se stesse i peccati che non perdonavano al potere che contestavano, sulla base del fatto che loro era la rappresentanza del potere che avrebbe portato giustizia nel mondo.
E, tanto per fare un po' di citazioni, Robespierre, all'inizio della sua opera rivoluzionaria chiese, tra le altre cose, la abolizione della pena di morte con un discorso rimasto famoso.
Tre anni dopo diede il via al Terrore in nome della difesa della rivoluzione da chi voleva sabotarla. Il terrore durò un solo anno, ma fece più o meno 70mila ghigliottinati, e qualcosa come da 100mila a 300mila incarcerati senza processi.
Il doppio standard rivoluzionario lo abbiamo visto al lavoro da allora, in maniera più o meno cruenta, in tante parti della nostra storia. Sui diritti civili e umani, sulla equità sociale, sulla giustizia delle classi sociale, le rivoluzioni moderne hanno fallito miseramente. Dalle grandi rivoluzioni, La Russa, la Cinese, a quelle piccole ma non meno rilevanti per la formazione della nostra coscienza pubblica, quelle di Cuba, Nicaragua, il Vietnam, per arrivare ad alcune a noi vicinissime, come i vari governi africani della decolonizzazione.
Curiosamente, la difesa di questi fallimenti è sempre stata articolata in due affermazioni: la prima che a fronte delle grandi cose fatte, i nemici guardano solo ai piccoli errori; la seconda, corollario della prima, è che comunque gli sbagli sono state fatti da "mele marce", casi isolati in un cesto pieno di mele sane. Il sistema è dunque sempre sano, e la colpa è sempre di un doppio standard del potere, ribaltato in maniera aggressiva contro la rivoluzione. Operazione quasi sempre portata avanti dalla stampa, accusata di essere al servizio a pagamento di qualunque sia il potere regnante in quel momento.
Ora, per tornare dalle grandi storie alle piccole, ci sono pochi dubbi che l'eco di questo storico dibattito, si sente in tutte le affermazioni del candidato Di Maio e di tutti i suoi compagni di partito e viaggio che da anni denunciano di essere vittime di un complotto di potere che chiude gli occhi davanti a grandi errori del sistema, mentre colpevolizza e gonfia a dismisura ogni piccolo errore dei M5S.
Ma, specie in queste difficili ore di gravi sospetti sul Movimento, i 5 Stelle sul caso dovrebbero semplicemente accettare l'unica ragionevole spiegazione e soluzione: proprio perché i pentastellati vogliono essere lo strumento di una nuova moralità, per loro anche solo un errore è di troppo. Troppo, per chi vuole portare l'etica assoluta. I rimborsi sono stati il pilastro della loro proposta per una nuova etica della politica, la misura dunque della loro credibilità. Facciano le verifiche, le facciano con profondità cercando di capire cosa non stia andando nel sistema (anche se sono due le mele marce non sono mai un caso). E ce lo facciano sapere.
PS Robespierre è finito ucciso dallo stesso meccanismo del Terrore che gli si è ribaltato contro. Ma questa è ovviamente una metafora.