20 maggio 2011
I pataccari
Ingroia, Travaglio e le ruggenti estati del giustizialismo da spiaggia
Marco Travaglio, nato a Torino il 13 ottobre 1964. Sposato con Isabella, ha due figli. Prima di occuparsi, con grande profitto, di cronaca giudiziaria ha scritto di esteri, al diocesano Nostro Tempo, di calcio e di economia, al Giornale di Montanelli. Il primo incontro con “il Vecchio” del giornalismo italiano lo organizza lo scrittore torinese Giovanni Arpino, che si porta il giovane Travaglio a Milano, nell’ottobre ’87. Montanelli non può saperlo, ma quel Travaglio a cui dà del “mammòzio” avrebbe assimilato il suo verbo al punto di arrogarsi, quindici anni dopo, la sua intera eredità. Al Giornale si stupiscono per lo straordinario senso catalogatore del giovane cronista, ma per vederlo in azione tra le carte delle procure bisogna aspettare Tangentopoli e l’incontro con il procuratore generale Marcello Maddalena. Nel romanzo di formazione di Marco Travaglio, questo è il momento della maturità: l’efficientissimo cronista tuttofare diventa un “grande inquisitore da far impallidire Vishinsky”, come ebbe a vezzeggiarlo lo stesso Montanelli. Per il suo nome, che allora firmava giusto tre libri, non basteranno interi scaffali di libreria.
L’ossessione per il Cav., ereditata dal grande “Vecchio”, si rivela prodigiosa: mette d’accordo cuore e portafoglio, alza le vendite e garantisce un’indiscutibile superiorità morale. Travaglio è tra i primi a combinarla con le potenzialità del contatto “diretto” con i lettori, via Internet: il blog Voglio scendere e la videorubrica settimanale Passaparola, ospitata dal blog di Beppe Grillo, gli garantiranno un sostegno contagioso. Il suo timbro gentile, a cadenza salmodiante, educe e seduce l’ascoltatore, che assiste allo sminuzzamento dei fatti della settimana. Dal 2006 l’offerta si arricchisce: agli spazi abituali per coltivare la militanza si aggiunge un editoriale a ogni puntata di “Annozero”, in cui Travaglio parla al grande pubblico, col piglio del catechista navigato. Il successo è travolgente e nel giro di tre anni Travaglio, con Antonio Padellaro, dimostra che ce n’è abbastanza per farci un giornale – il Fatto quotidiano, di cui è vicedirettore. L’apostolato legalitario lo spinge a trattare del Cav. anche a teatro (prima con “Promemoria” e ora con “Anestesia totale”). Nemmeno Berlusconi, limitatosi all’intrattenimento sulle navi da crociera, aveva osato tanto.
Marco Travaglio manovra il suo archivio con estrema precisione. Gli errori – una volta incolpò Pier Ferdinando Casini al posto del quasi omonimo Carlo – si contano sulle dita di una mano. Non è poco per uno capace di rovesciare carrettate di carte giudiziarie su ogni inezia. E, checché ne pensi il 41 per cento delle italiane – che l’ha votato amante ideale –, Travaglio è uno fedele. Sta cercando di dimostrarlo, soprattutto nell’ultimo mese, anche a un vecchio compagno di vacanze, il pm di Palermo Antonio Ingroia. Certo, nel 2003, senza saperlo, Ingroia gli aveva portato in ferie un mafioso, Giuseppe Ciuro. Ma non c’è motivo di rancore: le sue indagini hanno permesso a Travaglio, per un paio d’anni, di caricare con i “pizzini” dei Ciancimino i propri cannoni anti Cav. Dopo l’arresto di “Massimuccio”, Travaglio gli ha dedicato una manciata di editoriali, giocandosi le poche carte possibili: il documento contestato a “Massimuccio” è soltanto uno, Ciancimino Jr. è “un enigma”, forse è manovrato e comunque “è il classico testimone imputato per reati connessi e, come tale, non ha l’obbligo di dire la verità”. Il 6 maggio, mentre divaga con una splendida intervista a Renato Zero, Travaglio prova l’impossibile: fare le pulci al capo della Dda, Ilda Boccassini, scettica sull’affidabilità di Ciancimino Jr., rinfacciandole l’uso della teste Stefania Ariosto, nel 1995. Ma all’alta fantasia qui mancò possa, e i periodi asettici del miglior Travaglio hanno trascurato il caso Ciancimino, lasciandolo a un collaboratore del Fatto, Giuseppe Lo Bianco. C’è il rischio che Ingroia, per le vacanze di quest’anno, si scelga qualcun altro.
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