Succede che Luigi De Magistris oppone l’immunità parlamentare per scampare ogni querela (ieri è successo altre due volte) e però intanto spara querele contro i giornalisti, tra i quali lo scrivente. Succede che mancano le parole per descrivere la mancata vergogna del peggior magistrato italiano della storia recente, forse il politico più immunizzato della storia d’Europa secondo la definizione di un europarlamentare del Partito popolare. Schema di una carriera: prima De Magistris ha ottenuto facile popolarità sulla pelle di centinaia di indagati regolarmente assolti, poi si è innalzato a grande fustigatore di chiunque si difendesse «dal processo» anziché nel processo, poi ha fatto proprio questo (l’immunità parlamentare, ogni volta, l’ha chiesta lui) e infine, ora, chiede centinaia di migliaia di euro ai giornali che lo raccontano, tra i quali Libero.
Eccoci a raccontarlo ancora, dunque: ieri l’Europarlamento ha approvato la richiesta del candidato a sindaco di Napoli dell’Italia dei valori di «scudarsi» con l’immunità parlamentare per una causa intentatagli da Clemente Mastella, peraltro suo collega a Bruxelles: e non c’è neanche da entrare nel dettaglio della querela - legata alla fallimentare inchiesta Why Not - perché tanto è andata così e basta. È stato il presidente dell’europarlamento, Jerzy Buzek, a ricordare che De Magistris aveva già chiesto di potersi servire dell’immunità per due altri procedimenti civili: uno intentato dall’imprenditrice calabrese Enza Bruno Bossio, dirigente nazionale del Pd, e l’altro dall’avvocato e parlamentare del Pdl Giancarlo Pittelli: entrambi i politici erano stati indagati da De Magistris, anche se le cause sono state sporte per quanto l’ex pm ha scritto nel suo libro «Assalto al pm, storia di un cattivo magistrato», titolo azzeccatissimo.
APPOGGIO ESTERNO
Che dire? Niente, anzi tutto: che l’immunità parlamentare è stata ottenuta coi voti determinanti de Partito popolare europeo (cui aderisce il Pdl di Berlusconi) e che il commento di De Magistris è roba da chiamare la guardia medica: «Non ho intenzione di farmi trascinare in qualsiasi triviale gazzarra pre-elettorale, cavalcata ad arte da competitori politici che non sanno come attaccarmi e quindi attuano una campagna strumentale, temendo il cambiamento e la discontinuità che stiamo portando avanti a Napoli». Le querele sono state sporte prima che l’ex magistrato si candidasse, ma chi ci bada a queste cose. Non lui, che insiste, perché ad attaccarlo - spiega - «sono quei poteri forti, politici e non, che cerco di smascherare e che accuso». I poteri forti sono Enza Bruno Bossio, Giancarlo Pittelli e Clemente Mastella: chissà quelli deboli. De Magistris tuttavia chiama tutto questo «un sistema d’accerchiamento politicamente trasversale che però mi preoccupa poco, avendo fiducia nella giustizia». Ha così fiducia che evita di farsi giudicare.
In pratica sono tutte cazzate: nell’ottobre 2009 l’ex magistrato aveva detto che «Mastella era a capo di un mercato criminale di posti di lavoro» e l’uomo di Ceppaloni l’aveva subito denunciato, ma ecco la risposta che il 5 luglio scorso è giunta al Parlamento europeo: «Ritengo», è De Magistris a scrivere, «che le affermazioni da me rilasciate costituiscano espressione dell’attività politica di un parlamentare». Attività politica? Era un’intervista a Epolis, un freepress. Ma ecco la spiegazione: «Ho deciso di difendermi perché viviamo in un regime». Paura? Non scherziamo: «Non temo l’azione civile intentata da Mastella». E allora? Tutto così. Anche quando fu rinviato a giudizio per omissione di atti d’ufficio, a Salerno, nel novembre 2010, non si auto-sospese come prevedeva il codice etico dell’Idv: «No, sarebbe la vittoria del burocraticismo», aveva detto, anche perché «si tratta della mia attività di pm, non di politico». Cioè: non si fa querelare perché è un politico, non si dimette perché era un magistrato. L’assioma, ai tempi, lasciò perplessa anche la sua ex collega Clementina Forleo: «Luigi, quanto vale per te non credi debba valere per tutti?», scrisse.
Figurarsi. De Magistris nel frattempo ha citato Libero in sede civile (ha puntato, cioè, direttamente ai soldi) per quanto riportato dallo scrivente in vari articoli, ora probabilmente compreso anche questo. In effetti avevamo scritto dello straordinario agglomerato di patacche che hanno caratterizzato l’intera attività istruttoria di De Magistris, un magistrato che non avrebbe mai dovuto diventarlo; avevamo scritto del suo deserto di sale disseminato di cadaveri penali, e dei milioni di cartacce - faldoni d’inchiesta, pagine di giornali - che negli anni passati hanno distrutto vite, persone, famiglie, imprese, posti di lavoro e reputazioni. Il problema è che avevamo documentato tutto: vorrà dire che si ricomincerà da capo. A cominciare da quando riportammo - e lì c’era già tutto, o quasi - il parere con cui il Consiglio giudiziario di Catanzaro si espresso sulla sua nomina a magistrato di Corte d’appello: doveva essere un passaggio scontato (i magistrati giudicati negativamente, di norma, non superano l’1 per mille del totale) ma nel caso di De Magistris, il 18 giugno 2008, il relatore Bruno Arcuri fu poco tradizionalista, e quanto disse non era mai stato pubblicato da nessun quotidiano nazionale: «Prendendo possesso del mio ufficio di Procuratore generale, iniziavo la mia esperienza in Calabria con vivo interesse per il dr. De Magistris dopo aver letto di lui sulla stampa e averlo visto in televisione. Fui subito colpito dalle notizie che andavo apprendendo presso i colleghi tutti: i procedimenti da lui istruiti, di grande impatto sociale perché istruiti contro i cosiddetti colletti bianchi, erano quasi tutti abortiti con provvedimenti di archiviazione, con sentenze di non doversi procedere e con sentenze ampiamente assolutorie. Voci che mi stupirono perché in contrasto con la rappresentazione che ne davano i media». Seguiva un’analisi che denotava «una serie numerosissima di insuccessi», la «anomalia dei provvedimenti adottati», «procedimenti infausti», «omessa indicazione dei reati e delle fonti di prova», questo mentre De Magistris, ogni volta, «perseverava nell’adozione di provvedimenti immotivati malgrado i continui insuccessi».
L'ANOMALIA
Poi l’affondo del procuratore generale: «Di fronte a una tale patologia, forse unica nel panorama delle iniziative di un pm, a meno di configurare una magistratura disattenta se non collusa con centri di potere criminale (come ha configurato De Magistris con esternazioni mediatiche) non si sfugge a un’alternativa secca: o le persone indagate sono tutte esenti da responsabilità penali, o i giudici di Catanzaro sono tutti non professionalmente idonei se non corrotti... Il dato certo è che il dr. De Magistris è del tutto inadeguato, sul piano professionale e sul piano dell’equilibrio e sul piano dei diritti delle persone solo sospettate di reato, a svolgere quantomeno le funzioni di pm... Le tesi accusatorie sono cadute spesso per errori evitabili ed evidenziati dall’organo giudicante... Sono emersi rilievi negativi per l’anomalia di molti provvedimenti adottati. I procedimenti di rilevante impatto sociale hanno trovato clamorose smentite... Il rapporto statistico indagini/giudizio lascia emergere un’anomalia, poiché numerosi procedimenti non hanno condotto a nessuna fondatezza. Non solo: nei provvedimenti si configurano violazioni manifeste di legge (addirittura diritti costituzionali) ovvero si radicano prassi senza alcun fondamento normativo, come in materia di intercettazioni».
La conclusione del Consiglio: «Giudizio finale negativo. Le voci capacità e preparazione presentano profili di evidente deficit... gravi vizi o lacune; tecniche di indagine discutibili; procedimenti fondati su ipotesi accusatorie che non hanno trovato conferma, attività carente dal punto di vista dell’approfondimento e della preparazione». Morale: bocciato. Il Consiglio giudiziario, oltretutto, aveva preso in esame solo il periodo 2002-2008 e aveva quindi tralasciato i buchi nell’acqua che riguardavano l’attività di De Magistris a partire dal 1996, quando gli addetti ai lavori, a Catanzaro, cominciarono a soprannominarlo «Gigineddu flop» perché non vinceva un processo che fosse uno. E non poteva certo prendere in considerazione, il Consiglio giudiziario, tutte le clamorose disfatte che ancora sarebbero seguite: dopo che lui, tanto, nel frattempo era già diventato un fiammeggiante politico anti-casta. Che ora, però, si fa scudo dell’immunità parlamentare. Si attende querela.
di Filippo Facci
11/05/2011
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