Vittorio Tuttiacasa InFeltrito
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LE CONDANNE DI MARCO TRARAGLIO PER
DIFFAMAZIONE
• Nel
2000 è stato condannato in sede civile per una causa intentata da Cesare
Previti dopo un articolo su L’Indipendente del 24 novembre 1995: 79 milioni
di lire, pagati in parte attraverso la cessione del quinto dello stipendio.
• Nel giugno 2004 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile
a un totale di 85.000 euro (più 31.000 euro di spese processuali) per un errore
contenuto nel libro «La Repubblica delle banane» scritto assieme a Peter Gomez
e pubblicato nel 2001. Nel libro, a pagina 537, così si descrive «Fallica
Giuseppe detto Pippo, neo deputato Forza Italia in Sicilia»: «Commerciante
palermitano, braccio destro di Gianfranco Miccicché... condannato dal Tribunale
di Milano a 15 mesi per false fatture di Publitalia. E subito promosso deputato
nel collegio di Palermo Settecannoli». Dettaglio: non era vero. Era un caso di
omonimia tuttavia spalmatosi a velocità siderale su L’Espresso, su il
Venerdì di Repubblica e su La Rinascita della Sinistra: col risultato che il 4
giugno 2004 sono stati condannati tutti a un totale di 85mila euro più
31mila euro di spese processuali; 50mila euro in solido tra Travaglio, Gomez e
la Editori Riuniti, gli altri sparpagliati nel gruppo Editoriale L’Espresso.
Nel 2009, dopo il ricorso in appello, la pena è stata ridotta a 15.000 euro.
• Nell’aprile
2005 eccoti un’altra condanna di Travaglio per causa civile di Fedele
Confalonieri contro lui e Furio Colombo, allora direttore dell’Unità. Marco
aveva scritto di un coinvolgimento di Confalonieri in indagini per
ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era inquisito per
niente: 12mila euro più 4mila di spese processuali. La condanna non va confusa con quella che il 20 febbraio 2008, per
querela stavolta penale di Fedele Confalonieri, il Tribunale di Torino ha
riservato a Travaglio per l’articolo Mediaset «Piazzale Loreto? Magari»
pubblicato sull’Unità del 16 luglio 2006: 26mila euro da pagare; né va confusa con la citata condanna a
pagare 79 milioni a Cesare Previti (articolo sull’Indipendente) e neppure va confusa con la condanna
riservata a Travaglio dal Tribunale di Roma (L’Espresso del 3 ottobre 2002) a
otto mesi e 100 euro di multa per il reato di diffamazione aggravata ai danni sempre di Previti,
reato - vedremo - caduto in prescrizione.
• Nel giugno 2008 è stato condannato civilmente dal Tribunale di Roma
al pagamento di 12.000 euro più 6.000 di spese processuali per aver descritto
la giornalista del Tg1 Susanna Petruni come personaggio servile verso il potere
e parziale nei suoi resoconti politici: «La pubblicazione», si leggeva nella
sentenza, «difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha
contenuto diffamatorio».
• Nell’aprile 2009 è stato condannato dal Tribunale penale di Roma
(articolo pubblicato su L’Unità dell’11 maggio 2007) per il reato di
diffamazione ai danni dell’allora direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce. Il processo
è pendente in Cassazione.
• Nell’ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione (Terza sezione
civile) al risarcimento di 5.000 euro nei confronti del giudice Filippo Verde,
che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro «Il manuale
del perfetto inquisito», affermazioni giudicate diffamatorie dalla Corte in
quanto riferite «in maniera incompleta e sostanzialmente alterata».
• Nel giugno 2010 è stato condannato civilmente dal Tribunale di Torino
(VII sezione civile) a risarcire 16.000 euro al Presidente del Senato Renato
Schifani, avendo evocato la metafora del lombrico e della muffa a «Che tempo
che fa» il 10 maggio 2008.
• Nell’ottobre 2010 è stato condannato civilmente per diffamazione dal
Tribunale di Marsala: ha dovuto pagare 15mila euro perché aveva dato del
«figlioccio» di un boss all’assessore regionale siciliano David Costa,
arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e
successivamente assolto in forma definitiva.
• Ora la condanna più significativa. Si comincia in primo grado
nell’ottobre 2008: il presunto collega beccò otto mesi di prigione (pena
sospesa) e 100 euro di multa in quanto diffamò Previti. L’articolo, del 2002 su
l’Espresso, era sottotitolato così: «Patto
scellerato tra mafia e Forza Italia. Un uomo d’onore parla a un colonnello
dei rapporti di Cosa nostra e politica. E viene ucciso prima di pentirsi». Lo
sviluppo era un classico copia & incolla, dove un pentito mafioso spiegava
che Forza Italia fu regista di varie stragi. Chi aveva raccolto le confidenze
di questo pentito era il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che nel
2001 venne convocato nello studio del suo avvocato Carlo Taormina assieme a
Marcello Dell’Utri. In quello studio, secondo Riccio, si predisposero cose
losche, tipo salvare Dell’Utri, e Travaglio nel suo articolo citava appunto un
verbale reso da Riccio. E lo faceva così: «In quell’occasione, come in altre,
presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole Previti». E
così praticamente finiva l’articolo. L’ombra di Previti si allungava perciò su
vari traffici giudiziari, ma soprattutto veniva associato a un grave reato: il
tentativo di subornare un teste come Riccio. Il dettaglio è che Travaglio aveva completamente omesso il seguito del
verbale del colonnello. Eccolo per intero: «In quell’occasione, come in
altre, presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole
Previti. Il Previti però era convenuto per altri motivi, legati alla comune
attività politica con il Taormina, e non era presente al momento dei discorsi
inerenti la posizione giudiziaria di Dell’Utri». Il giudice condannò
Travaglio ai citati otto mesi: «Le modalità di confezionamento dell’articolo
risultano sintomatiche della sussistenza, in capo all’autore, di una precisa
consapevolezza dell’attitudine offensiva della condotta e della sua concreta
idoneità lesiva della reputazione». In lingua corrente: Travaglio l’aveva
fatto apposta, aveva diffamato sapendo di diffamare. La sentenza d’Appello
è dell’8 gennaio 2010 e confermava la condanna, ma gli furono concesse
attenuanti generiche e una riduzione della pena. La motivazione, per essere
depositata, non impiegò i consueti sessanta giorni: impiegò un anno, dall’8
gennaio 2010 al 4 gennaio 2011. Così il reato è caduto in prescrizione. «La
sentenza impugnata deve essere confermata nel merito... (vi è) prova del dolo
da parte del Travaglio». Il quale, ad Annozero, ha bofonchiato di un ricorso in
Cassazione: attendiamo notizie.
Filippo
Facci
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