La vita da candidato premier è dura e l’ex procuratore Antonio Ingroia non si sta divertendo come quando beveva vino rosso in video per salutare gli amici italiani e scriveva diari dal Guatemala sul Fatto quotidiano. Fa la faccia torva, ora, Ingroia, al massimo dice “basta barzellette” se gli chiedono conto dei suoi rapporti futuri con il Pd e urla “provocatore, provocatrice!” a chi gli fa domande in televisione (è capitato ad Alessandro Sallusti ma pure a Conchita Sannino di Repubblica – da Lucia Annunziata, a “Leader”, su Rai 3). E si mette seduto con le braccia conserte senza per questo rispondere alle domande sgradite, Ingroia, e sta zitto in un angolo e grida “ancòòòra?”, con la “o” palermitana, quando gli altri mostrano di non capire che a lui le domande piacciono soltanto se è lui a farle (e le questioni etiche soltanto se non lo riguardano). Si sforza di fare battute, l’ex procuratore, senza potersi togliere lo sguardo privo di sorriso e, da ex pm della “trattativa stato-mafia”, critica sul tema il presidente della Repubblica, mettendo in lista nel frattempo i giornalisti che gli hanno fatto da predellino sull’argomento: Sandra Amurri (anche teste dell’accusa nel processo), Maurizio Torrealta (anche autore di un libro sul processo), Sandro Ruotolo e Saverio Lodato.
Non si dà pace, l’ex procuratore Ingroia, se a qualcuno viene in mente di non farlo parlare soltanto di quello che vuole lui, e cioè del significato intrinseco della sua “rivoluzione civile” (chiedere a Fiorella Mannoia, sua supporter ma molto più poetica). Ma che cosa sia davvero la “Rivoluzione civile” non si capisce poi così bene: è il movimento dei giudici, ma anche dei centri sociali non vendoliani; dei “No Tav”, ma anche dei “Sì Tav” (vedi Antonio Di Pietro quando era ministro); della società civile che non vuole contaminarsi, ma anche dei partiti che senza un nome di richiamo potrebbero restare fuori dal Parlamento (Prc, Verdi, Pdci, Idv); della “schiena dritta”, ma anche del relativismo etico verso l’ex pm di Mani pulite, colpito dalle inchieste di “Report”, ma fondamentale per reggere l’urto anche economico della campagna elettorale; dell’antimafia e del pacifismo, ma anche dell’accantonamento dei nomi antimafia e pacifisti per gli equilibrismi da compilazione-lista (vedi la delusione di Salvatore Borsellino, dei giovani delle “Agende rosse” e di Emergency: caro Ingroia, non ci hai neanche consultati, hanno detto). “Rivoluzione civile” è il movimento della non desistenza con il Pd (area De Magistris), ma anche della (vagheggiata) desistenza col Pd nelle regioni chiave (area Ingroia). Del “dàgli al porcellum (sul sito del movimento si mettono le mani avanti: “Abbiamo dovuto fare i conti con una legge pessima”, si legge), ma anche dell’utilità del porcellum quando serve a dislocare candidati non proprio conosciutissimi. Ed è il movimento degli ex grillini dissidenti (Giovanni Favia), ma anche dei postcomunisti che con il Grillo antisindacale non hanno alcunché in comune; e di chi a titolo personale va al funerale dell’ex Br Prospero Gallinari come di chi si indigna al solo pensiero. Ma se poi qualcuno dicesse a Ingroia che “Rivoluzione civile” somiglia per certi aspetti a un “partito-taxi”, lui di sicuro si offenderebbe a morte, come quando gli fanno notare che non si è dimesso dalla magistratura e si è candidato a Palermo anche se l’opportunità lo sconsigliava, vista la sua lunga e recente attività in loco (che lo rende colà ineleggibile, secondo il Testo unico delle leggi elettorali). Ma tanto lui è praticamente candidato ovunque – e in magistratura, dovesse andare male, tornerà, dice, soltanto per occuparsi “di liti condominiali”.
Nella foto “Il quarto stato” di Ingroia in un’immagine ironica twittata ieri da Beppe Grillo
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