DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)
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lunedì 23 aprile 2018

7) Stato-Mafia. Trattativa. Sentenza secondo Dagospia-Posta



Lettera 7
Caro Dago, intere carriere di magistrati costruite su trattative con mafiosi che si pentono o dicono di pentirsi e adesso condannano il generale Mori che Riina l'ha fatto arrestare? Ma in che Stato viviamo? 
Lino

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domenica 22 aprile 2018

6) Stato-Mafia. Trattativa. I conti di Mariateresa Conti

Tutti i conti che non tornano nella sentenza Stato-mafia


Si dovranno leggere le motivazioni. Ma già dal dispositivo, letto venerdì in aula dal presidente della Corte d'assise d'appello di Palermo Alfredo Montalto, viene fuori palesemente che qualcosa non torna.

Anzi, è più di qualcosa che non torna nelle condanne di boss e carabinieri per la presunta trattativa Stato-mafia per fermare le stragi nei primi anni '90.
L'anomalia più macroscopica riguarda il Ros e in primis il generale Mario Mori che lo guidava. Cosa dice il dispositivo? Dice che il generale Mori, il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno, i vertici del Ros imputati in questo processo, sono condannati «limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993». Vanno invece assolti «per le condotte contestate come commesse successivamente al 1993». Che vuol dire? Vuol dire che Mori e il Ros sono, secondo questa sentenza, colpevoli per i contatti con Vito Ciancimino nel tentativo di trovare un contatto per fermare l'onda stragista di Cosa nostra e per giungere alla cattura dei principali latitanti(mai contestati come reato, era il lavoro del Ros) e per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina (proprio loro che hanno catturato il superboss). Ma per la mancata perquisizione del covo di Riina Mori e il capitano «Ultimo», proprio il carabiniere eroe che ha preso Riina, sono stati processati (il pm all'epoca era ancora Antonio Ingroia) e assolti. L'accusa era favoreggiamento aggravato. Ed era stato addirittura lo stesso Ingroia, il padre del processo trattativa, a chiedere per loro l'assoluzione. La sentenza è definitiva, ed è agli atti del processo trattativa che adesso per gli stessi fatti condanna. Alla faccia del ne bis in idem, il principio secondo cui non si può essere processati due volte per gli stessi fatti.
Non torna nemmeno, per Mori e il Ros, l'assoluzione per le vicende successive al 1993 disposta da questa sentenza. Il perché è presto detto. Mori e il colonnello Mario Obinu in questo caso, sono stati processati e assolti (la sentenza è definitiva, l'accusa era favoreggiamento aggravato) per la mancata cattura il 31 ottobre del 1995, di Bernardo Provenzano, che avrebbe partecipato a un summit in un casolare a Mezzojuso, nelle campagne di Palermo. Ma quel processo non riguarda solo quell'episodio del 1995. Nella smania di infilare la trattativa Stato-mafia ovunque, quel processo si è allargato anche al 1992 e al 1993. In quel processo sono entrate le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, il papello di Riina, il contropapello, insomma tutto quello che nel processo trattativa Stato-mafia è poi confluito nuovamente nell'accusa al generale Mori. In quella sentenza c'è pure, a proposito dei contatti con Vito Ciancimino, l'elogio di Mori e del Ros per quella iniziativa «lodevole» e «meritoria». Adesso, capo d'accusa diverso - la minaccia o violenza a corpo politico dello Stato - e fatti identici, persino i testimoni sono gli stessi, Mori viene invece condannato. Per gli stessi fatti per cui era stato assolto, definitivamente.
I conti non tornano nemmeno con la condanna-assoluzione di Marcello Dell'Utri, che sembra disegnata apposta solo per tirare dentro Silvio Berlusconi. Anche Dell'Utri è stato in parte assolto, come il Ros. Ma per il periodo opposto: è innocente «per le condotte contestate come commesse nei confronti dei governi precedenti a quello presieduto da Silvio Berlusconi». Colpevole, invece, per le condotte del 1994, quando il premier era appunto il Cavaliere. Ma anche in questo caso c'è un'assoluzione definitiva. La sentenza che condanna Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa assolve infatti l'ex senatore per i fatti successivi al 1992. Questa sentenza invece, per le stesse vicende, lo condanna.
Infine Berlusconi, convitato di pietra citato in sentenza senza neppure essere imputato. Che i pm puntassero a lui si era capito quando erano state introdotte agli atti le intercettazioni in carcere di Giuseppe Graviano, che nulla c'entravano con la trattativa. Ora la sua citazione in sentenza. E poi c'è l'assoluzione dell'ex ministro Mannino, i 200 documenti rifiutati alla difesa. Anomalie, troppe. E la verità su quegli anni, già sancita in sentenze definitive, viene stravolta.
(Mariateresa Conti, Il Giornale, 22.4.2018)

5) Stato-Mafia. Trattativa. La sentenza secondo Martelli

"Una leggenda il fronte unitario contro la mafia"


Martelli sulla "sentenza": il tentativo di passare alla seconda, o alla terza repubblica, è fallito il 4 dicembre del 2016.


"Il tentativo di passare alla seconda, o alla terza, è fallito il 4 dicembre del 2016. Come al solito ci stiamo aggirando tra le macerie della Prima Repubblica, un esercizio sportivo che dura da 25 anni". Così l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli in un'intervista a Formiche commenta le dichiarazioni di Di Maio sulla sentenza per il processo sulla trattativa "Stato-mafia". "Sono molto curioso di leggere le motivazioni, che dovranno contenere qualche elemento di prova di questo "tradimento". Perché di questo si tratterebbe, se un'Arma che ha per motto "Nei secoli fedele" avesse davvero perpetrato un "attentato al corpo politico dello Stato" ha detto Martelli, secondo cui "siamo di fronte a una contesa storica, quasi atavica, tra i Ros e la procura di Palermo".
L'ex ministro socialista ha confermato che "c'erano effettivamente degli atteggiamenti anomali. Il capitano De Donno si presentava al ministero e parlava direttamente con Liliana Ferraro a nome del colonnello Mori". L'impressione dell'ex Guardasigilli è che "il processo sia costruito non tanto sui fatti e le responsabilità dell'epoca, ma su come in un secondo momento, magari a distanza di vent'anni, quei fatti sono stati commentati e rivisti. Peraltro non dai protagonisti, ma da parte di qualcuno che ha sentito brandelli di conversazione da terze persone e si è fatto un'idea".
Martelli smentisce "la leggenda di un fronte unitario contro la mafia": "Quando Scotti ed io presentammo il "decreto Falcone" con le misure più severe contro Cosa Nostra, si riunì l'assemblea congiunta di deputati e senatori Dc che all'unanimità respinse il decreto, che fu poi dichiarato incostituzionale dalla Commissione problemi dello Stato. Altro che unità. La verità è che se non ci fosse stato l'assassinio di Paolo Borsellino quel decreto probabilmente non sarebbe passato".
(Huffington Post, 22.4.2018)

4) Stato-Mafia. Trattativa eccetera eccetera. G.Ferrara

“Giurati che riscrivono la storia, movimenti che stanno prendendo il potere, tutti senza sapere di che si tratti. Ma tempo qualche mese e il regime dell’asineria mostrerà la corda”
di Giuliano Ferrara 22 Aprile 2018 alle 06:13 www.ilfoglio.it
Questi giurati che riscrivono la storia senza sapere di che si tratti, e questi movimenti che stanno prendendo il potere senza sapere di che si tratti, sono tigri di carta. Ho molta fiducia nel futuro di questo paese. Mi dispiace per il generale Mori, che per il suo coraggio avrebbe dovuto essere assolto (e per gli altri: mai arrestare Totò Riina, è pericoloso). Mi dispiace per Marcello Dell’Utri, che paga in modo atroce il suo palermitanesimo. Mi dispiace per Nicola Mancino, il cui atteggiamento piagnucoloso e dissociato meriterebbe l’ergastolo morale. Mi dispiace per Enzo Scotti, che l’ha fatta franca se Dio vuole e ha messo in piedi le Università che allevano i grillozzi, e gli faccio tanti auguri. Ma questi della nuova ondata forcaiola sono tigri di carta.
L’Italia è un paese pieno di volubilità e di disprezzo, informale e feroce. Finirà tutto in farsa. E di nuovo non ci sarà tragedia. Chi crede nella sentenza di Palermo? Quelli che l’hanno preparata, quelli che l’hanno emessa, i calunniatori che l’hanno resa possibile. Chi crede in un governo grillino? Chi lo ha votato per sberleffo e tigna si sta già rimangiando la parola, è solo questione di tempo, e tempo breve. Saranno messi alla prova, saranno inadempienti, la Taverna alla testa dello Stato è decisamente troppo. Vedo e rivedo il video della classe lucchese, la vita bassa degli adolescenti che infangano e bullizzano (si dice così) il piccolo e mite funzionario del sapere, l’ometto delle élite, vedo e rivedo le intimidazioni e le chiassate a umiliazione dell’insegnante, vedo e rivedo il video e penso a chi l’ha girato, sono certo che non li butteranno fuori, l’espulsione da tutte le scuole del Regno non si porta più da molto tempo, ma so che così non si andrà avanti, tra non molto la Taverna chiude le sale giochi. Verrà la reazione e avrà gli occhi attoniti di chi non accetta la degradazione autolesionista che ci siamo imposti. Qualcuno da fuori ci salverà, è già successo tante volte nella storia italiana e degli italiani. Ho grande fiducia nel futuro di questo paese.
La morte della diplomazia. 
Non è più il tempo dei negoziati condotti con discrezione. Siamo nell'età dell'impazienza e della meschinità, dove i leader ai tradizionali canali diplomatici preferiscono le bordate sui social network. Un'inchiesta di Matteo Matzuzzi Cosa c'è nel monografico di lunedì 23 Aprile
Voi dite che bisogna argomentare, bè, sì, in un certo senso è vero, lo si è fatto, lo si rifarà, c’era una volta un cinico mercante di morte, i soliti dieci anni di galera. C’era una volta il reddito per tutti, c’era una volta la flat tax, c’erano una volta le pensioni. Uno si impegna a smantellare i teoremi, si ingegna a decostruire quel mostro che è l’opinione pubblica, questo gruppazzo di analfabeti, di gesuiti e di grillozzi che sta devastando il paese, goloso di devastazioni. Ma alla fine bisogna dire che aspettare è una virtù. Wait and see, dicono gli anglomani. Aspettare e vedere, non c’è molto altro da fare se non nutrire fiducia. Una volta durò vent'anni, ma erano tempi lenti, ora è diverso. Tempo qualche mese e il regime dell’asineria mostrerà tutta la sua corda. Ho grande fiducia nel futuro di questo paese.
Il tempo non è affatto galantuomo, è un gran figlio di mignotta. Ma in questo caso farei un’eccezione. E’ troppo grossa, la tigre, per non essere di cartapesta. E’ troppo smaccato, l’esperimento di vivisezione del corpo italiano, per non alludere a una nuova vita dietro l’angolo. Ci saranno delle risate, che seppelliranno tutto in un battibaleno, ruspe, felpe, Rousseau e programmi di governo. Non dirò che vedo la luce in fondo al tunnel, una metafora che mi è sempre sembrata pigra, e nemmeno che l’aurora è vicina, magari dalle dita tinte di rosa, non sono tempi omerici, Troia è lontana. Ma ho il presentimento che ci risveglieremo prestissimo dal coma etilico, dalla grande sbronza nazionale, e sarà un buon momento, senza vendette, senza decapitazioni, molte risate, appunto, alle spalle delle tigri. Ho grande fiducia nel futuro di questo paese.

3) Stato-Mafia, la trattativa. La sentenza secondo Facci

“NON C'È PROVA DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA” - FILIPPO FACCI: “RESTA DUNQUE UNA ‘TRATTATIVA’ SENZA LOGICA MA SOPRATTUTTO SENZA UNA CARTA, UN DOCUMENTO O QUALSIASI ALTRA FONTE CHE NE ATTESTI L'ESISTENZA: LE ‘PROVE’ SONO TUTTE TESTIMONIANZE MOLTO TARDIVE DI MAFIOSI E DINTORNI, E LO SCAMBIO SAREBBE IL MANCATO RINNOVO DEI 41BIS DA PARTE DEL MINISTRO CONSO. LE TESI DELLA PROCURA SONO STATE SCONFESSATE 4 VOLTE. LA SENTENZA SARA’ ROVESCIATA IN APPELLO”.

Ritenta, sarai più fortunato. Già distrutto da quattro sentenze, l' impianto del processo «trattativa» ha trovato fortuna (diciamo) in un dispositivo incredibilmente scandaloso, soprattutto per i pochissimi che sanno davvero di che cosa stiamo parlando: ma, se questo è ancora un paese occidentale, il dispositivo non durerà, e verrà rovesciato in Appello e in Cassazione. Questo è pacifico: ma nella breve distanza, intanto, succede quel che succede.

La prima balla è che non si sapesse come sarebbe finita, anzi, che sia stata «una sentenza che pochi si aspettavano» come ha scritto ieri La Stampa, giornale che forse, con quel «pochi», si riferiva a chi seguiva ancora il processo e non l'avesse derubricato tra le follie siciliane di cui nessuno capisce niente - nè gl' importa - come pure, tra addetti ai lavori, si diceva capissero i giudici popolari. Ma i giudici popolari, si dice anche, non contano nulla, e infatti il vero protagonista resta lui, Alfredo Montaldo, il giudice del dibattimento su cui le difese riponevano poche speranze non solo per il comportamento in istruttoria, ma per via del curriculum.
È il giudice, tra l'altro, che nel 1995 tenne Calogero Mannino in carcere per una vita, e che, dopo che Mannino aveva perso 40 chili tra le sbarre, disse che era stata una sua scelta dietetica perché si nutriva solo di verdure. Mannino è stato assolto con rito abbreviato nel 2015: ma qui siamo al punto che a non contare nulla non sono solo i passati comportamenti dei giudici - questo è normale - ma neppure le chiare e inoppugnabili sentenze che già hanno spiegato che non ci fu nessuna «trattativa» tra Stato e mafia, in Italia.

Le sentenze precedenti, soprattutto quella del processo Mori-Obinu (mancata cattura di Provenzano) fu vergata dal giudice Mario Fontana e ha costituito un fantasma che tutti avvertivano ma che nessuno vedeva: forse per le motivazioni cristalline che fornì, forse per come distrusse la stessa parte di procura che oggi festeggia, forse perché chi si scagliò contro i tre giudici del processo Mori-Obinu - come Marco Travaglio - ne ricavò 150mila euro da dover risarcire.

I TESTI RESPINTI 
Non si sapeva come sarebbe finita - ora dicono - ma a parte che non è finita (i primi gradi, in Italia, sono fatti per essere rovesciati) c' era comunque la montagna di documenti della difesa che non erano stati accolti, soprattutto c' erano i testi respinti: compresi calibri come Ilda Boccassini, Giuseppe Ayala e Antonio Di Pietro.
Non si sapeva come sarebbe finita, ma la maniera in cui il gip Piergiorgio Morosini subentrò al gip Michele Alaimo fu colta come un segnale. Anche perché Morosini, poi passato al Csm, nel 2011 scrisse un libro («Attentato alla giustizia») in cui si citavano ampiamente «i recenti sviluppi sulla "trattativa" tra Stato e mafia che sarebbe sullo sfondo delle stragi del 1992 e 1993».

Poi ci sarebbe il citatissimo «mutato clima politico», ma queste son cose da dietrologi.
Una sorta di compiacimento neo-stagionale si coglie soprattutto dal modo in cui tanti giornalisti han scritto della sentenza, mentre per il resto è innegabile soltanto (soltanto?) che la sentenza influenza l' unica trattativa certa (quella per la formazione di un governo) e che la modifica è in chiave anti-Forza Italia: la quantità di scemenze dette nelle scorse ore evidenzia, per tornare a una battuta di Berlusconi, che Mediaset non ha abbastanza cessi per farli pulire a tutti i grillini che dovrebbero farlo.

Ecco, forse si può dire che non si sapeva che i giudici avrebbero aderito a tal punto con le richieste dell' accusa, consentendo ora il delirio dei riscrittori della storia d' Italia in chiave criminale. Più o meno così: le stragi dei corleonesi di Riina ebbero alcuni uomini delle istituzioni tra i complici del ricatto mafioso fatto allo Stato: da qui la condanna per «violenza e minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario», ciò che fece piegare un governo alle richieste di Cosa nostra. Politici e carabinieri avrebbero cioè offerto l' attenuazione del carcere duro per 300 mafiosi già in galera, ma la trattativa sarebbe proseguita anche dopo l' arresto di Riina (1993) e avrebbe portato altri benefici come il mancato arresto del successore di Riina, Bernardo Provenzano.

Nel dispositivo è nominato Berlusconi perchè legato a Marcello Dell'Utri, ritenuto una sorta di ambasciatore dell'ulteriore ricatto che dal 1994 avrebbe condizionato il primo governo Berlusconi. Nel dispositivo si dice che per fermare le stragi del 1992-93 ben tre governi della Repubblica accettarono di venire a patti con Cosa nostra. Ergo: 12 anni di condanna per gli ex generali Mario Mori e Antonio Subranni, altri 12 per Dell' Utri, otto per l' ex colonnello Giuseppe De Donno, 28 per il boss Leoluca Bagarella.

Assolto l'ex ministro Nicola Mancino, che ieri gongolava stucchevolmente come se al centro del processo ci fosse stato solo lui. Ci sono anche 8 anni per Massimo Ciancimino, testimone che cercò d' inguaiare l' ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Traduzione del Fatto Quotidiano e di Antonio Ingroia: la Seconda Repubblica è stata edificata nel sangue delle stragi e se questo teorema non verrà confermato (perché di teorema ideologico di tratta) significa che in futuro qualcuno condizionerà negativamente la magistratura.

IL PARADOSSO DI MORI
Soffermarsi sulle assurdità delle accuse e sul nonsense dell' intero processo necessiterebbe di qualche pagina, anche perché l' accusa ha atomizzato e parcellizzato l' istruttoria in rivoli che hanno fatto perdere la visione d' insieme. Tra i vari assurdi, spicca in particolare l' incredibile paradosso del generale Mario Mori (l' uomo che ha fatto fare a Riina 25 anni al 41bis) e che era già stato assolto per vicende ora rinverdite: la mancata cattura di Provenzano e la mancata perquisizione del covo di Riina.

Resta dunque una «trattativa» senza logica ma soprattutto senza una carta, un documento o qualsiasi altra fonte che ne attesti l' esistenza: le «prove» sono tutte testimonianze molto tardive di mafiosi e dintorni, e l' unica prova di scambio sarebbe il mancato rinnovo dei 41bis da parte del ministro Giovanni Conso, che però riguardò soltanto galeotti di secondo piano. Conso peraltro ha testimoniato che prese la sua decisione in solitudine e senza pressioni, come confermarono tutti i testi istituzionali: Violante, Martelli, Amato, Rognoni, Andò, Pomodoro, Contri, Ferraro, Gratteri, Savina e Principato.

Al giudice non è importato. Nelle sue motivazioni della sentenza sarà divertente leggere come verrà bypassata anche la tenuta logico-giuridica dell' imputazione (criticata dai massimi giuristi del Paese) e soprattutto l' esistenza del giudicato già formatosi nel citato processo-clone Mori-Obinu, oltre alla presenza di accusatori già condannati per calunnia. In termini di diritto (roba complicata) c' è poi da registrare l' assenza dell' elemento oggettivo e soggettivo delle condotte illecite (ossia la consapevolezza e la prova del fatto avvenuto) nonchè la presenza, nell' istruttoria di Nino Di Matteo, delle stesse «convergenza del molteplice» e «circolarità delle informazioni» che nel fallimentare processo su Via D' Amelio, quella sulla strage che uccise Paolo Borsellino, permisero al pm Nino Di Matteo di mandare in galera per 18 anni degli innocenti.

Un avvocato ha detto, rivolto alle telecamere: abbiamo perso questa battaglia, vinceremo la guerra. Speriamolo, altrimenti saremo davvero alla fantasia (mentale) al potere.

Filippo Facci
(Libero 22.4.18)