DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)
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venerdì 14 maggio 2021

Giustizia in mutande (e canottiera)

 https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/tribunale-tempio-pausania-rsquo-subbuglio-dopo-notizia-che-270127.htm

Riforme della Giustizia fin che si vuole, ma fino a che avremo magistrati decorosi come questo…; sembra una foto di un ricercato, di quelle con sotto la scritta “WANTED”.

 
Vittorio Giustiziaincanottiera(emutande) ExInFeltrito

mercoledì 12 maggio 2021

Giustizia è sfatta

 


Nei tribunali inglese, americani  e, immagino, di altri Paesi meno pulcinella del nostro, se un imputato non si comporta correttamente lo sbattono fuori (...e poi dentro) per oltraggio alla Corte. Da noi il solito e pluri-recidivo Fabrizio Corona, imputato, arriva in tribunale tranquillamente in ritardo, si rifiuta di indossare la mascherina, poi per tutta l’udienza non la indossa correttamente e risponde strafottente al giudice. Sa bene che se la cava con un rimbrotto. E arrivederci alla prossima occasione.
Vittorio Giustiziaèsfatta ExInFeltrito

martedì 9 luglio 2019

Giudici da strapazzo


Lettera 11
Dagosapiens, la fisiognomica sarà pure una pseudoscienza e sarà pure che l’abito non fa il monaco, tuttavia quel giudice appena arrestato ha più l'aspetto di un dj squinternato che di un giudice; e forse, nella sua “veste”, prima di imporre un “dress code” alle candidate, dovrebbe imporlo a se stesso.
Vittorio Giudiciuncolo ExInFeltrito

martedì 26 febbraio 2019

L'Italietta in tribunale

                                             

POSTA -                   IN PAESI SERI LE FRASI DEI CASAMONICA IN TRIBUNALE (“VERGOGNATEVI SCHIFOSI, L'ITALIA FA SCHIFO”, “LEGGE DI MERDA”), SAREBBERO STATE PUNITE CON…

Lettera 7
«Vergognatevi schifosi, l'Italia fa schifo», «Legge di merda», hanno urlato in aula i parenti di Casamonica. Nei tribunali del mondo anglosassone, ben più seri dei nostri tribunalucci (dove giudici bonaccioni biascicano le sentenze in semi-dialetto) i suddetti sarebbero stati incriminati all'istante per oltraggio alla Corte. Da noi, come è finita? Gli hanno dato una tiratina d'orecchie ai mascalzoncelli?
Vittorio Vostrodisonore ExInFeltrito

giovedì 11 giugno 2015

Monolocale NON affittasi



Lettera 28
Un pensionato ha un monolocale acquistato con i suoi risparmi e lo affitta pensando di arrotondare la pensione. 350 euro al mese, e sa che buona parte di quelli glieli prenderà il fisco. "Pazienza", pensa; "sempre meglio che niente". Lo affitta ad un giovane che dimostra di avere un lavoro e che (nonostante gli stereotipi della nazionalità e i consigli degli amici) gli fa una buona impressione; e che giura che rispetterà il contratto. "Bè", pensa, "oltre a tutto ho anche fatto un'opera buona per un giovane immigrato".

Dopo due mesi i pagamenti diventano irregolari. "Pazienza", pensa; ma gli telefona ricordandogli l'impegno preso. Dopo cinque mesi i pagamenti non arrivano più. Telefonate inutili. Il datore di lavoro, contattato per scrupolo, conferma che il giovane non ha perso il lavoro. Dunque, via alle raccomandate. L'inquilino non le ritira. Il pensionato va di persona. Scopre che, in quei 34 mq. affittati e adatti ad una persona sola, ora vivono in tre: il giovane, una ragazza e un bambino.
sgomberata casa occupata milanoSGOMBERATA CASA OCCUPATA MILANO

Per cautelarsi avvisa la polizia locale, che dice di non poter far molto. Un avvocato gli conferma che, anche avviando la procedura di sfratto, non sarà facile riavere monolocale e soldi. Il pensionato pensa che ha già perso tremila euro e che dovrà pagarne qualche altro migliaio al legale; e non sa con quali risultati.

Ma pensa anche che quel giovane lo sta derubando dei suoi risparmi, e dunque pensa di doversi affidare alla giustizia. Anche la giustizia lo considererà un ladro? Ascoltando quel che è successo ad altri, ha seri dubbi. Alcuni conoscenti gli hanno detto che loro non affittano più, piuttosto di correre questi rischi. Il pensionato conclude che, non avendo tutele, anche il suo monolocale resterà chiuso, vuoto e improduttivo. Se e quando lo riavrà.
LA CASA DELLE DONNE DI VIA DEL GOVERNO VECCHIO OCCUPATA SIMBOLICAMENTELA CASA DELLE DONNE DI VIA DEL GOVERNO VECCHIO OCCUPATA SIMBOLICAMENTE
Vittorio Nonaffittasi ExInFeltrito

lunedì 30 giugno 2014

Faccia di Marmo


FACCIA DI MARMO - GAIA TORTORA NON ACCETTA LE SCUSE DEL PM CHE ARRESTÒ INGIUSTAMENTE IL PADRE: “TROPPO TARDI, SONO PASSATI 30 ANNI. FORSE LO FA ORA PERCHÉ TRABALLA LA SUA ENNESIMA POLTRONCINA” - ALDO GRASSO: “POTEVA STARE ZITTO”

Diego Marmo si è scusato per aver rovinato la vita di Tortora e averlo definito “mercante di morte”. La figlia Gaia non ci sta: “Provo compassione e pena per chi ha giocato con la vita di un innocente. Se si fosse scusato prima, non avrebbe avuto le sue promozioni”…

1. IL PM SI SCUSA, 30 ANNI DOPO (POTEVA SOFFRIRE IN SILENZIO)
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

uliano con la nuova giunta il primo a sinistra e?? diego marmo pm del caso tortoraULIANO CON LA NUOVA GIUNTA IL PRIMO A SINISTRA E?? DIEGO MARMO PM DEL CASO TORTORA
Poteva starsene zitto. Poteva portare ancora il peso del suo silenzio. Poteva vedersela con la sua coscienza, che non fa mai dichiarazioni pubbliche. Giorni fa, Diego Marmo ha chiesto scusa alla famiglia di Enzo Tortora (scuse respinte) per le vicende giudiziarie che annientarono la carriera televisiva e la vita del famoso presentatore:

«Ho richiesto la condanna di un uomo dichiarato innocente con sentenza passata in giudicato. E adesso, dopo trent’anni, è arrivato il momento. Mi sono portato dietro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Tortora per quello che ho fatto. Agii in perfetta buona fede».

L'ARRESTO DI ENZO TORTORAL'ARRESTO DI ENZO TORTORA
Tormento? Marmo è tornato all’attenzione della cronaca le scorse settimane, quando è stato nominato assessore alla legalità del Comune di Pompei. A molti, la nomina è sembrata un insulto alla memoria di Tortora e così sono scoppiate le polemiche. Trent’anni fa Diego Marmo era il pubblico ministero che formulò pesantissime accuse contro Tortora, poi assolto con formula piena perché il presentatore di Portobello non faceva parte della camorra. Ma di quelle accuse Tortora morì e nessun magistrato di quel processo aveva finora pubblicamente manifestato rincrescimento.

Una pagina nera per la giustizia italiana e non solo: il Tg2 d’allora si distinse subito per l’accanimento con cui seguì la vicenda dell’«insospettabile di lusso», la stampa preferì sposare, almeno all’inizio, la tesi colpevolista (con la sola eccezione di Enzo Biagi), molti mascherarono il suo arresto con una sorta di risibile rigenerazione da una tv che non piaceva.
enzo tortora tvENZO TORTORA TV

Marmo, che durante la requisitoria, nel 1985, descrisse il giornalista come «un cinico mercante di morte», non era solo. I magistrati inquirenti erano Lucio Di Pietro (promosso poi procuratore generale a Salerno e alla Procura nazionale antimafia) e Felice Di Persia (giunto poi al Csm). Tortora fu rinviato a giudizio da Giorgio Fontana, allora giudice istruttore, e messo alla gogna «nel nome del popolo italiano».

Le nostre ingiustizie si vendicano sempre. Non ci rendiamo conto, spesso, che nel porre rimedio alle cose finiamo col cercare un sollievo che le aggrava ancora di più.


2. LA FIGLIA DI TORTORA RIFIUTA LE SCUSE DEL PM "ORA È TROPPO TARDI"
Maria Volpe per il "Corriere della Sera"
ENZO TORTORAENZO TORTORA

«È tardi. È troppo tardi. Ci sono stati 30 anni in mezzo». Parole chiarissime, inevitabili. A scriverle è Gaia Tortora la figlia più piccola di Enzo. Oggi ha 45 anni, è capo redattore politico al Tg de La7. Quando suo padre venne arrestato lei aveva 14 anni. Una adolescenza e una giovinezza rovinate per sempre dal calvario di quell’uomo per bene. La sorella maggiore, Silvia, anche lei giornalista e pure scrittrice, in questi anni non ha mai nascosto la sacrosanta rabbia.

Due giorni fa si sono trovate di fronte alle parole di Diego Marmo, il pubblico ministero che formulò pesantissime accuse contro Enzo Tortora. Accuse false. Ma lui non pagò mai per quell’errore. Non chiese mai scusa. Lo ha fatto l’altro ieri in un’intervista a «Il Garantista», il nuovo quotidiano di Piero Sansonetti: «Adesso dopo trent’anni è arrivato il momento. Mi sono portato dentro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia Tortora per quello che ho fatto».

Myrta Merlino e Gaia TortoraMYRTA MERLINO E GAIA TORTORA
Reazioni? Silvia tace. Gaia affida a Facebook la risposta. «Scrivo qui queste poche righe perché stanca di parlare. Stanca di spiegare. Stanca di pensare che anche questa volta le mie parole potrebbero essere ridotte o interpretate. Lo faccio qui ad uso e “consumo” di tutti. Di quelli che mi vogliono bene e anche dei colleghi che puntualmente mi cercano. Quelli di cui riconosco il pudore nell’avvicinarmi e quelli che ancora oggi non smettono di stupirmi per la sciatteria e l’insensibilità».

Poi Gaia Tortora entra nel merito di quelle scuse scandalosamente tardive di un uomo che non solo non ha pagato, ma è stato pure premiato negli anni. L’ex procuratore capo di Torre Annunziata, già procuratore aggiunto a Napoli, oggi in pensione, da qualche giorno è stato nominato assessore alla legalità del comune di Pompei.

Gaia Tortora Enrico MentanaGAIA TORTORA ENRICO MENTANA
Prosegue dunque la figlia del conduttore di «Portobello»: «È troppo tardi. Ci sono stati 30 anni in mezzo. Ma se avesse ammesso di aver sbagliato prima non avrebbe ottenuto le sue promozioni. E ora forse la sua ennesima poltroncina traballa sotto il peso delle polemiche. Provo compassione e pena per chi ha giocato con la vita di un uomo innocente». Infine una richiesta «Chiedo ai politici di destra e sinistra di smetterla di dire cosa sarebbe bene per Tortora.

Senza mai porsi il problema di cosa provocano le loro esternazioni in noi. Chiedo al governo di fare una riforma della giustizia che abbia un senso e dia una dignità alla parola giustizia. Dignità. Una parola di cui quegli ominicchi, come ci ha insegnato il grande Sciascia, non conoscono probabilmente neanche il significato». Parole che in molti hanno condiviso sui social.

Perché nessuno ha dimenticato quella requisitoria: Marmo descrisse il giornalista Rai come «un cinico mercante di morte», riferendosi alla presunta (e inesistente) attività di trafficante di cocaina. Non solo. Rivolgendosi al legale di Tortora ebbe a dire: «Il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra!». (Tortora gli rispose gridando: «È un’indecenza»).

Gaia Tortora al tg La7GAIA TORTORA AL TG LA7
Un’indecenza che cominciò il 17 giugno 1983 quando Tortora venne arrestato. Sette mesi di carcere, poi gli arresti domiciliari per motivi di salute. Nel giugno dell’84 viene eletto deputato al Parlamento europeo con i Radicali. Il 17 settembre 1985 è condannato a 10 anni di carcere principalmente per le accuse di pentiti. Il 31 dicembre si dimette da europarlamentare rinunciando all’immunità parlamentare.

Resta agli arresti domiciliari e il 15 settembre 1986 viene assolto con formula piena dalla Corte d’Appello di Napoli. Pochi mesi dopo, il 20 febbraio 1987 torna in tv e quello stesso anno, il 13 giugno, viene assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione. Una gioia breve perché Enzo morirà il 18 maggio 1988.

venerdì 27 giugno 2014

Giustizia


Il pm Marmo del caso Tortora, parla dopo 30 anni: "Ho sbagliato, sono il suo assassino morale"






Scagionamenti

A lei è andata anche bene: alla giustizia italiana son bastati due anni, questa volta.
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Lo sfogo di Rosi Mauro scagionata dopo due anni "La gogna non si cancella"

L'ex senatrice leghista: "Non auguro al mio peggior nemico ciò che ho passato. Ringrazio i pm per il loro lavoro immane"

Milano - Era la «strega nera». Donna e meridionale dentro una Lega di maschi, fu l'unica a venire espulsa.
Mentre il Trota restava al suo posto, con le sue lauree albanesi a scrocco, Rosi Mauro veniva cacciata con ignominia.
«Non auguro al mio peggior nemico ciò che ho passato in questi anni. Oggi sono felice. Ma due anni e due mesi di gogna non si cancellano, non si cancellano le incursioni e le falsità sulla mia vita privata. Devo ringraziare i pubblici ministeri che hanno fatto un lavoro immane, e questo lavoro li ha portati a convincersi della mia innocenza. Ma questa innocenza è stata calpestata senza ritegno sui giornali, in televisione, su internet».
Non è una intervista: per questa, spiegano la Mauro e il suo avvocato, ci sarà tempo e spazio dopo che la richiesta di archiviazione firmata l'altro ieri dalla Procura sarà passata al vaglio del giudice preliminare. Ma per la Rosi è difficile non lasciarsi andare a uno sfogo. Il 12 aprile 2012 la sindacalista padana, già astro fisso del cerchio magico bossiano, venne giustiziata senza processo dal triumvirato Maroni-Calderoli-Giorgetti, chiamati a salvare le sorti del Carroccio sotto la tempesta dell'inchiesta sui fondi neri e sulle spese pazze di «The Family», il clan Bossi. La cacciarono dal partito e le ordinarono di dimettersi dalla vicepresidenza del Senato. «Io per tutta la mia vita avevo obbedito. Ma di fronte a quell'ingiustizia mi ribellai, perché sapevo di non avere fatto niente. Dissi che mi stavano facendo una schifezza. E risposi che non mi sarei dimessa».
Le contestavano le accuse lanciate contro di lei da Francesco Belsito, il cassiere della Lega. Un assegno da 6.600 euro intestato «Rosi». Un altro assegno da sedicimila euro. E poi l'accusa più devastante, quella che portò i giornali a frugare fin dentro la sua camera da letto: 77mila euro per comprare in Albania la laurea a Pier Moscagiuro, l'ex poliziotto divenuto il suo compagno. Lei, quando è stata interrogata, ha detto che gli unici soldi visti davvero sono stati i 16mila euro: il valore della sua auto, venduta alla Lega «a me non serviva più, perché mi portava sempre in giro l'auto del Senato». Degli altri soldi, dice di non sapere assolutamente niente. Ora la stessa Procura le riconosce che non c'è uno straccio di prova. E che «non è irragionevole ritenere che Belsito abbia utilizzato la Mauro e Moscagiuro come pretesti per prelevare denaro per se stesso».
A Porta a Porta, mentre il suo mondo le crollava addosso, non resse e scoppiò a piangere. Intanto partiva il linciaggio sui siti dei leghisti duri e puri, che in qualche modo dovevano nascondere e spiegare a se stessi le barbonate del padre fondatore, le scoperte strabilianti sulle spese di Umberto Bossi e dei suoi eredi: i vestiti, la benzina, il dentista, gli alimenti per le ex mogli, il veterinario per il cane. Ammettere che il Senatùr si era ridotto a fare la cresta sui rimborsi era troppo difficile. Difficile ammettere che lo stato maggiore era colluso: «Tutti - ha spiegato la Mauro ai pm - sapevamo che venivano spesi dei soldi per gli studi di Renzo e Riccardo Bossi, ma si parlava di studi effettivi al Cepu, si parlava di Londra». Ma alla base che chiedeva pubblici esorcismi, qualche testa andava data in pasto. Toccò a lei. «Eppure sarebbe bastato poco per capire che la storia non stava in piedi, chi ha mai pagato 77mila euro per una laurea in Albania? Ne bastano due o tremila. E poi Moscagiuro non è neanche diplomato».
Oggi, dice Rosi Mauro, «non appartengo più a quel mondo». Lo dice senza apparente malinconia, anche se dietro ci sono vent'anni di vita, l'impiegata venuta dalla Puglia che incrocia il verbo visionario di Bossi negli anni in cui alle strologanti conferenze stampa dell'odontotecnico di Cassano Magnago si presentavano pochi e diffidenti cronisti, e il nemico non erano i negri ma i terroni come lei; eppure qualcosa scattò. Di quei tempi gloriosi di attacchinaggi e pizzerie, oggi a Rosangela detta Rosi restano le due paginette scarse di una richiesta di archiviazione.

mercoledì 7 agosto 2013

Dubbi 3


C'è una sentenza che riguarda il Carlo De Benedetti e il Gruppo Espresso multato di 225 milioni perplusvalenze e una condanna che riguarda Silvio Berlusconi e i diritti Mediaset. Due vicende simili, due sentenze aspramente criticate dai due diretti interessati,  De Benedetti e il Cavaliere, appunto, che sono però state trattate in maniera esattamente opposta dai giudici e dai giornali.

Un doppiopesismo giudiziario, scrive oggi il Giornale, testimoniato dai fatti. Vediamoli: nel 2012 la Commissione tributaria regionale di Roma ha condannato il Gruppo Espresso a pagare 225 milioni di euro, il totale delle imposte non pagate nel 1991 all'epoca della fusione dell'editoriale La Repubblica in vista della sua quotazione in borsa. I pagamenti sono però stati congelati perché un'altra sezione della Commissione tributaria ha poi accolto la richiesta di sospensione della riscossione avanzata dal Gruppo. 

Insomma, De Benedetti avrebbe ottenuto un enorme vantaggio fiscale da una serie di operazioni societarie realizzando un'elusione fiscale da 234 milioni. Un illecito tributario non un reato penale perché la questione penale si era risolta anni fa con l'assoluzione di tutti gli imputati "perché il fatto non sussiste". Sulla maxi multa il Gruppo Espresso ha parlato di "sentenza manifestatamente infondataoltreché palesemente illegittima sotto numerosi aspetti di diritto e di merito". Addirittura, conclude il Giornale, la legale dell'Espresso Livia Salvini parla di "abnormità di pronunce che pretendono di disconoscere i vantaggi fiscali", ovvero lo stesso rilievo dei ricorsi di Coppi e Ghedinisulla vicenda dei diritti Mediaset che però non si è risolta con una multa per gli amministratori della società ma in una condanna penale con interdizione dai pubblici uffici per l'azionista.