Il tour in cerca di pentiti anti-Cav
Lumia (Pd) e Alfano (Idv) vanno in galera e provano a far pentire Provenzano. Guarda caso, i parlamentari chiedono che i mafiosi dicano la verità in una sola direzione...
Da pazzi. Ci sono due parlamentari che vanno in giro per le carceri a chiedere a vari mafiosi (tipo Bernardo Provenzano, per capirci) di confessare una determinata «verità» che tu guarda, li vedrebbe nella posizione ideale per accusare Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Questi parlamentari sovralimentati si chiamano Giuseppe Lumia (senatore Pd) e Sonia Alfano (europarlamentare Idv) e in pratica stanno facendo un tour delle varie galere promettendo benefici e tirando in ballo i figli dei galeotti e aprendo la strada ai vari Ingroia e magistrati vari. Il dettaglio è che la legge non permette niente del genere: ai parlamentari è permesso di entrare nelle carceri per verificare le condizioni di detenzione dei detenuti, non certo di svolgere autentici colloqui investigativi che spetterebbero solo al procuratore nazionale antimafia e alla polizia giudiziaria e ai magistrati autorizzati dal Guardasigilli. Il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi, tuttavia, ha letto le relazioni sui vari colloqui e ha scoperto che i due parlamentari hanno fatto tutt’altro. Il 26 maggio sono andati a Parma e hanno chiesto a Bernardo Provenzano di collaborare coi magistrati: in cambio, ai figli dell’anziano boss, «lo Stato avrebbe potuto garantire un avvenire». Provenzano, invano, ha chiesto ai due cinici parlamentari di poterli almeno vedere, i figli: ma i due, qualche giorno dopo, invece della prole gli hanno spedito i magistrati della Procura di Palermo, e il tutto - notare - senza la presenza di un avvocato. C’è da dire che Lumia & Alfano non hanno ottenuto granché, ragione per cui i parlamentari sono tornati alla carica il successivo 4 luglio, questo dopo che a Provenzano era stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini per l’omicidio Lima e per la supposta trattativa Stato-mafia. I responsabili della polizia penitenziaria, intanto, annotavano tutto, compresi i reiterati tentativi di ricordare gli «strumenti della legge» che potrebbero migliorare la vita dei figli di Provenzano: sempre che, beninteso, frattanto ci sia l’impegno a «fare uscire una volta per sempre la verità». Il boss, anche nel secondo colloquio, ha insistito ancora sui suoi figli, ma i parlamentari hanno ribadito il loro niet: tuttavia potevano sempre discuterne coi «magistrati seri e trasparenti» che indagano sui fatti di mafia. Va ricordato che Provenzano, afflitto da un tumore terminale alla vescica e da una palese demenza senile, è sottoposto al regime di 41bis con l’aggiunta del 14 bis: un isolamento come neanche il Papillon di Steve McQueen.
Ma non c’è solo Provenzano. I due parlamentari, sorta di ambasciatori di procura, sempre nel maggio scorso ci hanno provato pure con Filippo Graviano (intermediario tra Berlusconi e Cosa Nostra, secondo il pentito Nino Giuffrè) e con Francesco Bidognetti (capo-camorrista dei Casalesi) e infine con Antonino Cinà (medico mafioso pure lui imputato per la presunta trattativa). Risultati, nessuno. Graviano non ha detto una parola. Bidognetti ha fatto una requisitoria contro lo Stato - ha detto - che crede ai pentiti anche in assenza di riscontri: e proprio tutti i torti non li aveva. Cinà ha affermato che Cosa Nostra è stata sconfitta con l’arresto di Riina: e tutti i torti non li aveva neanche lui. Nel pomeriggio di ieri, poi, tra una polemica e l’altra, sono giunte le incredibili reazioni dei due citati parlamentari dopo l’articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera. Giuseppe Lumia si è difeso e ha detto che tutti i parlamentari dovrebbero fare come lui: cioè dei tour di pressione psicologica e investigativa sui detenuti - senza gli avvocati - che favoriscano una successiva visita dei magistrati. Sonia Alfano invece è andata oltre - come al solito - e ha detto che gli articoli come quello di Bianconi mettono a repentaglio la sua vita e potrebbero far parte dell’obiettivo di comunicare ai boss che non devono collaborare: questo a margine di «una trattativa che evidentemente prosegue ancora oggi». Con lo psichiatra, forse.
Filippo Facci.
Ma non c’è solo Provenzano. I due parlamentari, sorta di ambasciatori di procura, sempre nel maggio scorso ci hanno provato pure con Filippo Graviano (intermediario tra Berlusconi e Cosa Nostra, secondo il pentito Nino Giuffrè) e con Francesco Bidognetti (capo-camorrista dei Casalesi) e infine con Antonino Cinà (medico mafioso pure lui imputato per la presunta trattativa). Risultati, nessuno. Graviano non ha detto una parola. Bidognetti ha fatto una requisitoria contro lo Stato - ha detto - che crede ai pentiti anche in assenza di riscontri: e proprio tutti i torti non li aveva. Cinà ha affermato che Cosa Nostra è stata sconfitta con l’arresto di Riina: e tutti i torti non li aveva neanche lui. Nel pomeriggio di ieri, poi, tra una polemica e l’altra, sono giunte le incredibili reazioni dei due citati parlamentari dopo l’articolo di Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera. Giuseppe Lumia si è difeso e ha detto che tutti i parlamentari dovrebbero fare come lui: cioè dei tour di pressione psicologica e investigativa sui detenuti - senza gli avvocati - che favoriscano una successiva visita dei magistrati. Sonia Alfano invece è andata oltre - come al solito - e ha detto che gli articoli come quello di Bianconi mettono a repentaglio la sua vita e potrebbero far parte dell’obiettivo di comunicare ai boss che non devono collaborare: questo a margine di «una trattativa che evidentemente prosegue ancora oggi». Con lo psichiatra, forse.
Filippo Facci.
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