DiStImIcAmEnTe





QUANDO FU NON RICORDO,
MA VENNI PRESO UN GIORNO
DAL DESIDERIO D'UNA VITA VAGABONDA,
DANDOMI AL DESTINO D'UNA NUVOLA
CHE NAVIGA NEL VENTO,
SOLITARIA.
(Basho)

...ma ora...

STO DIVENTANDO VECCHIO.
UN SEGNO INEQUIVOCABILE E' CHE
LE NOVITA' NON MI APPAIONO INTERESSANTI
NE' SORPRENDENTI.
SON POCO PIU' CHE TIMIDE VARIAZIONI
DI QUEL CHE E' GIA' STATO.
(Borges)

lunedì 11 luglio 2011

Cossiga piccona ancora

1- FARINA DEL DIAVOLO! 'BETULLA' MANDA IN LIBRERIA IL BOMBASTICO "MI RICORDO" DI COSSIGA - 2- DA PIAZZA FONTANA A MORO, DA GLADIO A MANI PULITE FINO AD ABU OMAR-POLLARI - 3- “DURANTE UN INTERROGATORIO, PER FAR VEDERE CON CHI AVEVA A CHE FARE, PRIMO GREGANTI PICCHIÒ DI PIETRO. PROPRIO COME FACEVANO ALCUNI IMPAVIDI PARTIGIANI CON GLI UFFICIALI DELLA GESTAPO. QUELLI PERÒ VENIVANO FUCILATI. GREGANTI NO" - 4- "IL SISMI DI POLLARI CON IL SEQUESTRO DI ABU OMAR NON C’ENTRA NULLA. I GRANDI AMICI DEL SUPPOSTO CONSOLE GENERALE CHE ERA IL RESIDENTE DELLA CIA A MILANO, BOB LADY, ERANO ALCUNI MAGISTRATI DI MILANO E IL CAPO DELLA DIGOS... I MAGISTRATI AUTORIZZARONO, SENZA AVVOCATO DIFENSORE E SENZA LA PRESENZA DI MAGISTRATI ITALIANI, L’INTERROGATORIO IN CARCERE DA PARTE DELL’FBI DEL FUTURO “RAPITO”..." -

IL LIBRO
Esce per Marsilio editori "Cossiga mi ha detto". Il testamento politico di un protagonista della storia italiana del Novecento (pp. 240, 18 €) di Renato Farina, esito dei lunghi colloqui intercorsi tra il giornalista di "Libero" e Francesco Cossiga. Il presidente emerito della Repubblica dà libero corso a confessioni e dichiarazioni inedite scandite dalle incalzanti domande dell'amico giornalista. Una fra tutte: Francesco, ti sei confessato per l'omicidio Moro?

Tratto da "Cossiga mi ha detto", di Renato Farina (Marsilio)
MANI PULITE E AMERICANE
In realtà, quando presero con i soldi nel cesso il Mario Chiesa alla Baggina di Milano, febbraio 1992, erano già tre anni che lavoravano con le intercettazioni. Antonio Di Pietro ha ammesso di aver incastrato Chiesa con le intercettazioni. E su diversi blog hanno usato questa sua autodenuncia per sostenerne l'utilità. Ma non furono mai esibite in nessun processo, e se ci furono erano illegali.
Mi domando: grazie a chi furono effettuate? C'entrano servizi segreti deviati? O magari gli americani? I quali vedevano male sia Craxi sia Andreotti per le loro posizioni filoarabe, e avevano anche dei riflessi di vendetta per Sigonella.
A Di Pietro voglio bene. È un asino intelligentissimo. Pur con tutti i suoi viaggi in America, le scatole di scarpe con i soldi da restituire, contava però poco. Era uno strumento. Lui avrebbe colpito anche i comunisti. Ma non era possibile, erano troppo protetti dai suoi colleghi.
Ai comunisti si perdonavano anche a livello di opinione pubblica i denari di Mosca: soldi macchiati dal sangue dei gulag, perché era nei gulag che si producevano gli extragettiti, i tesoretti (uso il linguaggio da operetta della politica attuale) poi versati nelle casse dei compagni. Non li valuto male per questo. C'è una favolosa coerenza in questa cecità dei comunisti.
Qui rivelo un episodio inedito. Durante un interrogatorio, per far vedere con chi aveva a che fare, Primo Greganti, il mitico Compagno G., picchiò Di Pietro. Gli balzò addosso. Proprio come facevano alcuni impavidi partigiani con gli ufficiali della Gestapo. Quelli però venivano fucilati. Greganti è, per fortuna, tornato tra noi.
Degli altri del pool, Piercamillo Davigo ha le sue competenze tecniche, senz'altro, ed è un fascista in senso tecnicogiuridico.
Gherardo Colombo è un estremista di sinistra che ha subordinato la ricerca della verità processuale alla convenienza ideologica, con eleganza, con buona fede, con perseveranza diabolica.
Di Gerardo D'Ambrosio dico che è stato da sempre l'uomo del Pci al Palazzo di Giustizia di Milano. Un onesto comunista. E mi sembra che ogni passo della sua carriera rifletta bene questa sua compostezza di compagno. Ha difeso il commissario Luigi Calabresi dalle calunnie negli anni settanta. Per il resto, mi è stata riferita una frase di Di Pietro: «Ha la scrivania sempre sgombra di carte, non fa un cazzo». Guidava, curava non toccassero il Pci.
Di Francesco Saverio Borrelli vale una lettera scritta per un processo. Non mi vollero testimone. Si giudicava a proposito di un'intervista firmata da te, Renato Farina, a Bettino Craxi da cui Borrelli riteneva di essere stato diffamato. La trascrivo, oltretutto i giornali non ne dettero notizia. Solo Dagospia, il sito del mio amico Roberto D'Agostino, la notò.
Roma, 7 gennaio 2004
Caro Renato,
a suo tempo mi hai spiegato come il tribunale di Brescia non intenda avvalersi della mia testimonianza in ordine all'azione penale intrapresa contro il presidente Bettino Craxi e contro di te dal dottor Francesco Saverio Borrelli, pur essendo io stato presidente del Consiglio superiore della magistratura e perciò informato del modo con cui l'alto Magistrato ottenne l'incarico di procuratore della Repubblica di Milano. (...)
Anni fa, l'allora procuratore della Repubblica di Milano dottor Borrelli mi chiamò al mattino presto nella mia abitazione: più che chiedere mi intimò per telefono di smentire che egli - come io in un'intervista avevo riferito - fosse socialista, dicendo anzi che era di famiglia monarchica. Gli obiettai che dettare all'Ansa una smentita di tale natura, nella quale avrei fatto ovviamente riferimento a quanto da lui dichiaratomi, sarebbe stato a mio avviso del tutto inopportuno.
Avendo egli insistito, io allora gli dissi - come poi effettivamente feci - che avrei eseguito; non mi chiedesse però di smentire in futuro quel che io sapevo con certezza e cognizione dei fatti: e che cioè la sua nomina a procuratore della Repubblica era avvenuta con l'opposizione della Democrazia cristiana e su pressione del Partito socialista italiano, guidato da Bettino Craxi. A tal punto la cosa era da tutti risaputa che, anche dopo l'arresto di Mario Chiesa, i socialisti milanesi si sentivano del tutto tranquilli perché affermavano di poter contare in procura su amici fidati tra cui - udite udite! - il giovane e pugnace Antonio Di Pietro.
Tuo aff.mo amico
Francesco Cossiga
Presidente emerito della Repubblica
Ovviamente, pur essendo stata esposta e depositata questa lettera, il tribunale di Brescia condannò.
Tutti i magistrati italiani, e in particolare quelli di Brescia, cui sono trasmesse tutte le pratiche riguardanti i colleghi milanesi, hanno una sudditanza come minimo psicologica verso Borrelli, Spataro eccetera. Potrebbero permettersi di uccidere la sorella davanti alle telecamere: sarebbero prosciolti, salvo poi qualche pizzicotto sulle parti molli nelle motivazioni dell'archiviazione.
È capitato così per le denunce da me fatte a Brescia per la vicenda di Abu Omar e per quelle di altri. Violazioni di segreti, mosse a mio giudizio fuorilegge? Tutto a posto. Archiviazioni. Con motivazioni demolitive, ma alla fine finisce sempre così, sin dai tempi di Di Pietro.
Ricordo che chi lo ebbe a indagare, il pm Fabio Salamone, si trovò subito il fratello Filippo nei guai giudiziari in Sicilia. Tutto per combinazione, ovvio. Archiviazione sicura (per Di Pietro).
2- QUANDO POLLARI DISSE "NON LO FACCIO"
Ho tirato in ballo Abu Omar. E a questo proposito avverto. Si è consumata una clamorosa ingiustizia nei confronti di Nicolò Pollari e degli altri del Sismi.
Allora. T-u-t-t-o. È la prima volta che dico tutto. Il Sismi con il sequestro di Abu Omar non c'entra nulla. I grandi amici del supposto console generale che era il residente della Cia a Milano, Bob Lady, erano alcuni magistrati di Milano e il capo della Digos che banchettavano mattino e sera con lui («prendevano il caffè» ripetono anche in tribunale in questo strano processo che procede lo stesso con la spada di Damocle del giudizio della Corte costituzionale). La Procura della Repubblica di Milano autorizzò contro legge l'interrogatorio in carcere - quando avevano arrestato Abu Omar - da parte dell'Fbi. Non ci credi?
È così! I magistrati autorizzarono, senza avvocato difensore e senza la presenza di magistrati italiani, l'interrogatorio in carcere da parte dell'Fbi del futuro "rapito".
Vuoi la verità? Ci fu una riunione cui parteciparono i direttori dei servizi segreti con il sottosegretario Gianni Letta. Sul tavolo c'era la richiesta da parte degli americani di effettuare delle extraordinary rendition. Pratiche in realtà di ordinaria amministrazione in altri Paesi d'Europa: c'è un protocollo segreto dove si chiamano removals e vennero autorizzate ad Atene alla presenza anche di componenti della Commissione europea di Prodi.
Pollari in questa riunione si oppose, addusse ragioni giuridiche e morali. Concluse: «Questo è contro la legge, io non mi impegno». Il segretario generale del Cesis (il coordinamento dei servizi segreti) il povero Fernando Masone, scomparso nel luglio 2003, lo prese di petto: «Se non sei capace di fare questa operazione, molto male. Non dovevi accettare di fare il direttore del Sismi, se hai questi scrupoli».
Ma il generale di corpo d'Armata Pollari, da buon ufficiale di polizia giudiziaria quale era stato, fu irremovibile e Letta ne prese atto con soddisfazione sciogliendo la riunione.
Che successe dopo? Di certo il Sismi fu tagliato fuori. Gli americani usarono altri canali. Chi diede l'aiuto per il rapimento tra virgolette, fu il Ros dei carabinieri. Il maresciallo che lo consegnò patteggiò, ebbe 18 mesi. E oggi è tranquillamente in servizio. Mentre Pio Pompa, che non ha subito alcuna condanna e non ha partecipato ad alcun sequestro né vero né finto, è stato cacciato dal Sismi e su ordine di Giuseppe D'Avanzo persino mandato via dal ministero della Difesa, ed è stato abbandonato da tutti.
Pompa è la vittima più incresciosa di questa storia. È un grande esperto di fonti aperte, cioè di materiale attingibile tranquillamente da internet. Oggi i servizi segreti più seri (Usa, Regno Unito, Israele) lavorano soprattutto su questo materiale. Pompa prima ha subìto una ridicolarizzazione motivata ("ma guarda che classe") dal suo nome e dal suo aspetto mingherlino; poi, si è sostenuto che il semplice lavoro di selezione e di interpretazione delle notizie ricavate dal web costituisse un reato ignobile.
Il colmo è accaduto quando, a fine agosto 2008, «Repubblica» ha presentato come uno straordinario scoop la documentazione dei rapporti di stretta colleganza tra le Farc colombiane (i terroristi che hanno rapito Ingrid Betancourt per intenderci) e Rifondazione comunista in Italia. Questa segnalazione era contenuta già nelle carte sequestrate nell'archivio di Pio Pompa e demonizzate a prescindere. Bisognerebbe leggerle e si scoprirebbero molte verità interessanti sui nessi tra magistratura e ambienti pseudorivoluzionari.
Il colmo è che «Repubblica» riesce a giocare come sempre due parti in commedia. Distrugge umanamente Pompa e annienta il Sismi con la collaborazione dei magistrati di Milano. Poi finge di aver scoperto, grazie alle sue inchieste, ciò che, quando lo fece Pompa, aveva meritato la fucilazione mediatica e l'impiccagione giudiziaria.
Il maresciallo del Ros Luciano Pironi ha fatto il suo dovere, ha obbedito. Il capitano al quale Pironi attraverso il telefonino comunicava le fasi della consegna di Abu Omar non è stato mai neanche interrogato. Il nucleo di polizia militare dell'aeroporto di Aviano, carabinieri, non è stato mai interrogato perché, anche per il buon Armando Spataro, prendersela con il Sismi era nulla, prendersela con i carabinieri un po' più pericoloso.
Un altro problema: fu vero rapimento il fatto accaduto a Milano nei pressi del Centro islamico di viale Jenner il 17 febbraio del 2003? O Abu Omar era già al soldo degli americani e venne in questo modo messo in sicurezza per salvargli la ghirba?
O Abu Omar doveva essere convinto dalla Cia a passare al suo servizio? Perché una persona, che poi ha detto di essere stata picchiata e torturata, messa nelle mani degli egiziani, nemici implacabili degli estremisti islamici, telefona alla moglie e poi vive e rilascia interviste in una sontuosa casa di Alessandria?
Mi domando: agli atti c'è la testimonianza di Abu Omar per cui sarebbe stato immediatamente consegnato al ministro dell'Interno egiziano. Perché non è stato incriminato o almeno richiesto di una testimonianza?
C'è un'evidente gestione politica di tutto questo. C'è qualcosa che non torna.

(Dagospia)

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